Benché
necessario per raggiungere rifugi sicuri, recarsi al di là del fiume era pericoloso.
Lei lo sapeva bene. Per questo percorrendo quei sentieri non perdeva mai di vista i due
figlioletti. Prima del guado bisognava attraversare una radura che si diceva essere
popolata da creature mostruose. Enormi, avide di carne e cattive anche nell'odore. Non le
aveva mai viste, ma un paio di volte ne aveva avvertito il lezzo appestare l'aria. Non
sempre, però, il vento era d'aiuto. Altre volte facilitava le imboscate di quei mostri
crudeli che era più frequente incontrare dopo l'estate, quando il cielo cupo ne esaltava
la sete di sangue.
Quel giorno, mentre rincasava con la prole, percepiva oscuri presagi. Aveva piovuto e
l'odore di terra umida mascherava quello del nemico. Ora però lo sentiva distintamente.
Senza fiatare mise in guardia i figli, finché la visione di quattro occhi malvagi
suggerì di correre a rotta di collo. Erano quelle maledette creature del demonio!
Il cuore dei fuggiaschi era già sottosopra quando un rumore più forte di ogni ruggito
coprì l'urlo straziante del figlio più piccolo che ruzzolò col ventre squarciato. Il
fratello fece appena qualche balzo in più prima di colorare l'erba di rosso. Lo sgomento
della madre venne ben presto cancellato da un nuovo boato e da una fitta lacerante.
Cadde anche lei, con la testa riversa. I suoi occhi sbarrati di lepre morente guardarono
per l'ultima volta quel cielo plumbeo senza un dio da supplicare o maledire. Poi il nulla.
Nel mondo dei vivi un uomo con cartucciera e fucile a tracolla grugnì rozzamente in
spregio alle vite appena spezzate. "Luride bestie! Quest'anno la selvaggina non è
neppure ingrassata a sufficienza per farci il ragù". Il suo compagno d'armi annuì:
"Lasciamole qui, non vale nemmeno la pena di abbassarsi a raccoglierle".