Guardava
impotente, quegli esseri glabri e senza il dono della parola che torturavano il suo amico.
Gli avevano già cavato un occhio ed ora gli stavano rompendo le gambe. Dio come urlava!
Pregava che lo finissero in fretta, che lo strazio finisse, sperava che non si
accorgessero che, nascosto dietro ad un cespuglio, cera anche lui.
I nemici dagli occhi spiritati continuarono ad infierire sul corpo del suo amico con
spille e lame. Ormai era finito ma loro continuavano. Ma da dove provenivano creature
così feroci? Stavano infestando tutta la terra ormai.
Oddio, gli toglievano la pelle, lo stavano scuoiando. Pianse cercando di trattenere i
singhiozzi, se lo vedevano era finita anche per lui. Non voleva morire in quel modo! Non
per mano di quegli esseri disgustosi, bianchicci, dinoccolati, altissimi. Quelle mani
così lunghe sapevano impugnare attrezzi micidiali.
Ora cosa stavano facendo? Per lamor di Dio...! Avevano afferrato i resti del suo
amico e li facevano roteare nellaria gridando come ossessi. Voleva scappare, ma
sapeva che se si fosse mosso lavrebbero visto. Rimase lì. Nel suo cantuccio, fermo
e zitto, quasi senza respirare per la paura di essere trovato. Si accorse di essersi fatto
la pipì addosso.
Gli esseri cominciarono a litigare tra di loro, tirando i pezzi del suo amico,
strattonandosi per impadronirsi di un brandello di corpo da lanciare.
Vomitò un liquido giallastro e subito si rese conto di aver causato un piccolo rumore.
Trattenne il fiato, il cuore pompava in gola rombando come un tuono.
Sentì dei passi avvicinarsi, si appiattì al suolo, piangendo e mugolando, non riusciva
più a trattenere i gemiti.
Allimprovviso il cespuglio che lo nascondeva si aprì e lui vide uno di quei visi
orribili ed una mano protendersi.
I bambini gridarono Un altro. Cè ancora un altro gatto. Possiamo ancora
divertirci.