Amore

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Mio figlio ha il cancro.
Aveva solo tre anni quando notammo quella pustolina scura tra l’occhio e il naso; ora che ne ha undici la sua faccia è interamente ricoperta da un ribollìo di carne caotica rosso violacea che pende in avanti come un grappolo di prugne marce. Spesso sanguina tra le pieghe.
Apro la porta della sua cameretta delicatamente, per non svegliarlo. Andrea dorme beato. Gli antidolorifici aiutano.
I dottori hanno emesso un verdetto unanime: Andrea potrebbe sopravvivere anche fino a venticinque, forse trent’anni. Ma il cancro è di un tipo non curabile, lento ed inesorabile ha già partorito le sue metastasi e devastato i tessuti sui quali è cresciuto, deformando le ossa, mangiandosi gli occhi, il naso e la bocca. Andrea si nutre attraverso ciò che ne rimane: un tunnel in quel turgore osceno.

La sua immagine tremola mentre i miei occhi si bagnano.
E’ un mostro oggi e sarebbe un mostro anche domani se il cancro guarisse.
Nella penombra silenziosa della stanza l’aria che entra dalla finestra aperta porta il profumo del fieno fresco e dei fiori; odori che Andrea non potrà più sentire, colori che non vedrà più.
Mi chino su di lui e gli sfioro la tempia con un bacio.
La gente penserà che il mostro sono io, che sono pazzo; farà grandi discorsi sul diritto alla vita; ma io non so più cosa pensare mentre appoggio la bocca del mio fucile da caccia sulla sua tempia.
Forse sono pazzo di dolore. Forse solo nella mia posizione si potrebbero comprendere veramente le mie ragioni.
Premo il grilletto.
Un urlo mi esplode nel cuore.
Giro il fucile e gli mordo la bocca fumante.
Spingo nuovamente il grilletto.

Stefano Parodi