Il torpore
del sonno stava lasciando il posto alla ragione della veglia, eppure cera qualcosa
di strano in quel risveglio. Il corpo ancora non voleva destarsi, le palpebre erano ancora
troppo stanche per tentare di sollevarsi. Lentamente la coscienza tornava, e con essa le
percezioni terrene. Il pugno a stringere il lenzuolo, sembrava fatto di seta.
Laria era molto calda, un sentore di terra umida colpiva le mie narici. Non un
rumore nelle mie orecchie. Il mio respiro sembrava riflettersi sulla faccia, avevo la
sensazione opprimente di qualcosa che incombeva.
Il terrore cominciava a serpeggiarmi nelle vene, aprii gli occhi.
Ma era buio pesto.
Di scatto alzai un braccio, ma a metà corsa questo incontrò un ostacolo solido. Una
parete mi sovrastava a pochi centimetri dalla testa, per tutta la mia lunghezza.
Ai lati, stessa cosa.
Il terrore diventava panico. Tentai di rivoltarmi, e di premere sulle pareti, ma non
cera spazio a sufficienza. Urlai al massimo delle mie possibilità, sentivo il suono
rimbalzare fra le pareti circostanti e spegnersi con la speranza.
Sigillato in una bara!
Cominciavo a ricordare daver pestato i piedi al boss, ma perché non ritrovarmi con
le scarpe di cemento a parlare coi pesci? Attanagliato dallorrore cominciai a
desiderare una morte più rapida, questa era peggiore delleternità
allinferno. Ricordai daver letto che la morte per soffocamento è morte lieve,
mancando lossigeno si cade in una sorta di sonno senza scampo. Respirai più che
potei nella speranza di consumare presto la riserva daria. Ma più respiravo, più
mi sembrava di sentire un nuovo fiato fresco provenire da un angolo sopra la testa.
La mano arrivò fin lì.
Un cannello era stato collocato appositamente per non farmi morire subito.
Maledetti! fu lultima cosa che gridai.
Lultima cosa che udii fu la mia pazza risata.
Federico De Carli nasce a Roma nel 1965. Informatico, ora libero professionista. Suona, studia, legge, scrive racconti di ambientazione horror, fantascientifica o surreale.