Requiescat in pace

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

La notte era gonfia di pioggia. I miei propositi innominabili. Il ricordo di quella notte incancellabile. La brama di sapere cosa accadesse dopo in quello condizione in cui ci saremmo trovati prima o poi tutti, da soli, calpestò ogni mia etica e moralità sacrificando tutto in nome della scienza.
In quella orrenda notte si presentò l’occasione e decisi di agire. Innumerevoli erano state le volte in cui mentalmente, in maniera ossessiva, avevo percorso quei momenti per prepararmi. M’incamminai sfidando il tempo infuriato e la natura avversa di quella zona giungendo presto sul posto.

 

Un uomo era morto e fu sepolto lì quello stesso giorno.
Requiescat in pace” disse il prete.

Cominciai a scavare e presto l’acciaio arrivò al legno. Trascinai il corpo nell’ossario e risistemai la terra. Fu l’ultimo segnale di lucidità. Da quel momento la ragione mi abbandonò e venni trascinato in un luogo da cui non tornerò più.
La tenue luce a fatica rischiarava quell’immonda impresa e me, chino sul corpo, al centro di un corteo di ombre partorite dalla mia pazzia per maledirmi.
Turbato, in una sorta di estasi mistica, introdussi nel corpo dell’uomo l’ago della flebo con la soluzione frutto di anni di empi studi.
Attesi molto, forse un‘ora, prima che accadde quello che ancora oggi dopo trent’anni devasta la mia mente.
L’urlo inumano di disperazione che s’innalzò da quell’essere abominevole abbatté ogni mia resistenza psichica. Fuggii, squarciando con urla tremende il velo che la notte stendeva pietosa su quel teatro di orrore. Corsi fino a casa, dove caddi in un sonno delirante.

 

Le menti degli uomini eliminano l’orrido che non possono sopportare e così fecero con me. Rinchiuso in qualche antro dimenticato, vivo dilaniato nella carne e nell’anima con la creatura agghiacciante che avevo richiamato da un luogo infernale, a perenne punizione della mia follia.

Ele Amsi