Gli occhi
di Susanna erano pieni di minuscole schegge. Fu la prima cosa che Marco notò dopo il
terribile schianto dell'automobile contro il pilastro di cemento. Lui non era certo messo
meglio: il volante, contorto come una rotella di liquirizia masticata, gli era penetrato
nello sterno, deformandogli orribilmente il busto.
- Susannaaa, - mormorò. - Susan... - Una sensazione di mancanza nella bocca. Marco capì
che nell'impatto si era mozzato la punta della lingua coi denti.
Susanna, molto lentamente, voltò il capo in direzione del ragazzo. La sua faccia era un
hamburger. Solo gli occhi parevano essere scampati a quello scempio, eccezion fatta per le
schegge di vetro che li ricoprivano come candidi cristalli di neve. Marco si chiese se la
sua amata fosse ancora in grado di vedere. Quasi con indifferenza notò che il naso le
penzolava vicino al labbro superiore - a ciò che ne rimaneva - sospeso ad un sottile
filamento di pelle.
- Marco, - biascicò la ragazza, tentando di far fluire correttamente le parole da
quell'apertura maciullata che un tempo era stata la sua bocca. - Come sto? - Susanna
abbozzò un sorriso. Briciole di denti le luccicavano sul mento.
- Cazzo, Susi, - rispose Marco, quasi commosso. - Sei bellissima! Magnifica! - Agitò la
mano animatamente per sottolineare quell'affermazione. Notò che gli mancavano tre dita.
- Tu non sei da meno... beh, allora cosa aspettiamo, amore mio, - ribatté Susanna. -
Andiamo in centro? Ho fame. -
Sorrisero, complici.
I due morti viventi si trascinarono a stento fuori delle lamiere contorte. Si presero per
mano, poi, perdendo pezzi, cominciarono a percorrere la strada che conduceva alla città
buia, vagamente visibile in lontananza, avvolta da un'innaturale nebbia lattescente. Il
maestoso scheletro di una città che un tempo, tanto tempo prima, era appartenuta ai vivi.