Trapasso

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

“E’ ritornato il figliol prodigo”. Lo ripeteva ogni qualvolta ritornava al villaggio. Non conoscevo il significato di quella parola, ‘prodigo’, eppure questa volta l’aveva pronunciata in un tono diverso.
Il figliol prodigo era una delle storie che raccontavano alla missione dove il mio fratellone studiava per diventare dottore e curare i bambini meno fortunati di me. Quando tornò la prima volta dalla missione mi disse, aprendo il palmo della mano con le dita tese, “...ecco, lì sono bianchi così”, poi rise perché mi vide spaventata. Non potevano essere così bianchi, avevo pensato allora, perché quello era il colore della morte.
Il mio fratellone è qui, per partecipare al trapasso del nonno.
Per me è il primo trapasso, bisogna che hai cambiato tutti i denti per parteciparvi. Invece il mio fratellone ha già partecipato al trapasso della nonna.

Quando è ritornato, oggi, ha raccontato altre orribili storie che mi hanno spaventata, come quella sugli uomini bianchi alla missione: ha raccontato che, dopo morti, i corpi vengono sepolti sotto la terra e lasciati divorare dai vermi.
Quando ha visto il terrore nei miei occhi ha spiegato che gli uomini bianchi credono che ogni uomo abbia un’anima, e questa non è legata al corpo, ma si libera da esso dopo la morte.
Era notte quando nostro padre ci chiamò per partecipare al trapasso. Il nonno era steso su una coperta di foglie intrecciate e il liquido che aveva ingerito gli aveva provocato il sonno profondo.
Ci mettemmo tutti intorno a lui e quando nostro padre iniziò il rito del trapasso noi altri lo seguimmo: affondammo i denti nella carne, e dopo la carne ne mangiammo gli organi, mentre le sue ossa sarebbero servite per adornare il nostro corpo e le capanne, perché soltanto esse non racchiudevano la nostra sola e unica anima.

Luca Limatola