Quando
morii precipitai dritto allinferno, o almeno in un posto che credevo lo fosse. Si
trattava, in realtà, di un ufficio minuscolo, allincirca tre metri per tre,
piuttosto buio e polveroso. Ad una scrivania sedeva un individuo dallaspetto dimesso
e consunto, laria quella di un usciere addetto allanticamera di una qualche
eminenza di basso rango.
«È leggermente in ritardo.» sentenziò osservando lorologio.
Si alzò dalla sedia e mi sopravanzò di qualche passo.
«Mi segua.» disse volgendosi allimprovviso, stupito della mia immobilità.
Si avviò verso un lungo corridoio del quale non si vedeva la fine. E io dietro a lui. Poi
svoltò in un altro, più angusto e avvolto dalla penombra, salì alcuni gradini e ne
discese altri, per arrestarsi infine in un locale spoglio. Laggiù, in fondo, si vedevano
tre porte.
«A lei la scelta.» disse indicando un gancio sul muro da cui pendevano tre chiavi.
«La scelta?» chiesi.
«Una delle porte, è ovvio!»
«E dietro?»
Luomo sbuffò impaziente dalle narici.
«Dietro una: il Paradiso. Ne apra unaltra e troverà lInferno.»
«E lultima cosa nasconde?»
«Qualcosa di peggiore del più spaventoso degli inferni.» precisò dopo una breve
esitazione.
Squadrai quel volto indecifrabile. «Dunque, tutto affidato al caso?»
«Lunica regola che in realtà esista.»
«Nessunaltra possibilità?»
Scosse il capo lentamente. «Tre non sono sufficienti?»
«E se io non volessi scegliere?»
Allargò le mani, diventate adesso come serpenti di fiamma: «Lo farò io per lei...»
Presi la seconda chiave. Così, distinto, senza ragionare.
«Vada.» mi incoraggiò luomo indicandomi la porta corrispondente.
Mi avvicinai, la inserii nella toppa e girai. Poi mi volsi ancora a guardarlo.
«Vada.» ripeté sorridendo.
Entrai, feci un passo e precipitai nel buio...
Cera odore di disinfettanti, di ospedale e una luce orrenda,
accecante. Sentivo freddo, un freddo terribile.
«È un maschio!...» urlò poi qualcuno.