Le
crocifiggeva.
Le inchiodava vive come Cristo in croce.
Le osservava dibattersi negli ultimi spasmodici rantoli.
Godeva del loro smisurato dolore e sorrideva.
L'ultima preda vagava per il bosco. Flessuosa e bellissima, andava alla scoperta del mondo
con movenze eleganti.
Quando se lo vide davanti non si spaventò. Era giovane e ingenua, non conosceva gli
uomini; non immaginava quanto potessero essere crudeli.
Si guardarono senza parlare. Poi lui agì, facendola precipitare nel più terribile dei
suoi incubi. Immobilizzata, caricata su un pick-up, trascinata in un appartamento.
Si ritrovò in uno stanzone senza finestre, illuminato a malapena da una lampadina che
pendeva di sghimbescio dal soffitto. La luce fioca illuminava martelli e seghe e trapani e
lunghi chiodi.
Poi c'erano loro.
Le vittime innocenti della medesima lucida follia.
Nude.
Trafitte.
Inchiodate supine su una tavola di legno.
Lei avrebbe voluto gridare tutta la sua angoscia e la sua disperazione, urlare al mondo il
suo terrore senza fine, ma non poteva farlo.
Capì che la sua vita sarebbe finita in quel macabro museo degli orrori.
Pregò di non soffrire ma quando il primo chiodo l'attraversò da parte a parte capì che
anche il suo ultimo desiderio sarebbe rimasto inesaudito.
Infine lui la guardò, sorrise soddisfatto del suo lavoro ed uscì. Lo senti sbattere la
porta e girare la chiave.
Scese il silenzio.
I minuti furono lunghi come gocce distillate di sudore e sofferenza.
Era notte quando tornò.
Non era solo.
C'era una voce femminile con lui.
Parlavano per le scale, davanti alla porta.
Allora non tutto era perduto!
Forse la donna avrebbe potuto salvarla, non poteva essere complice di un simile orrore: un
inaspettato e meraviglioso seme di speranza le riscaldò il cuore.
Poi sentì la voce di lui calda e suadente:
-Vuoi entrare a vedere la mia collezione di farfalle?