L'ascensore

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Non soffro di claustrofobia. O almeno, non ho mai avuto crisi del genere. Uso senza problemi l’ascensore. Né mi è mai capitato che mi abbia dato fastidio. L’ascensore che porta ai parcheggi sotterranei è ampio, luminoso. Vi salgo sempre senza problemi. Anzi, la sera lo faccio con più piacere perché è il segnale che la giornata di lavoro è conclusa e me ne torno a casa. Schiaccio l’ultimo bottone della pulsantiera, quello che mi porta al –4, dove ho parcheggiato la mia auto. E lo faccio anche questa sera. Fino al -2, resto in compagnia di un giovane che non conosco ma che mi sorride con simpatia. Ricambio augurandogli una buona serata, compiaciuta che abbia sbirciato con aria indifferente nella mia scollatura. Essere desiderate fa sempre piacere. Poi l’ascensore prosegue. Ma al piano quarto interrato l’ascensore non si ferma. Fatto strano perché oltre al quarto, sotto terra non vi dovrebbero essere altri piani.

D’altra parte, l’ascensore continua a scendere. E lo capisco perché la cabina vibra e ne percepisco la discesa. Una discesa che, a quanto pare, si fa sempre più rapida. Comincio ad agitarmi. Mi manca l’aria. Premo con rabbia il pulsante dello “stop”. Senza esito. Quello rosso dell’allarme. Inutilmente. L’ascensore prosegue, sempre più rapido, la sua corsa. Comincio ad avvertire uno strano senso di vertigine. Un rigurgito amaro sale dalla bocca dello stomaco. “Fermati!” urlo in preda a un terrore senza senso. Lascio cadere la borsetta, mi rannicchio su me stessa. Forse, sono impazzita. Forse, sto solo sognando. Quando mi risveglierò tutto sarà finito. Ora l’ascensore si è fermato. Una brusca fermata. E la porta, lentamente, si apre. Subito, un bagliore rosso vivo colpisce le mie pupille. Come se il parcheggio andasse a fuoco. Davanti alla porta, un lift in calzamaglia rossa mi sorride e sussurra: “Benvenuta all’inferno!”

Glory Perugini

Studentessa. Fa raccolta di "tarocchi" ma non nel senso di arance. Scrive raccontini noir, soprattutto per fare dispetto a suo padre che vuole fare altrettanto.