Era ferito al braccio, stava sanguinando copiosamente.
Si levò la camicia e improvvisò una fasciatura d’emergenza. Combattere con
un supporto solo non sarebbe stato facile, ma non era la prima volta che si
trovava in una situazione di svantaggio. Avrebbe avuto la meglio anche in
quelle condizioni, d’altronde era il solo che poteva fermarli.
Si acquattò dietro a un cespuglio polveroso con la sua automatica stretta
nella mano massiccia, percepì il frusciare delle loro grosse ali membranose.
I due gargoyle planarono nel parcheggio deserto della multisala, li udì
grugnire qualcosa nella loro incomprensibile lingua gutturale.
Parto malato del ventre dell’universo, demoni di ogni tipo si riversavano
sulla Terra alla ricerca di anime da stuprare, interiora da divorare,
divertimento fatto di sangue e grida.
Cesare era l’Eletto, a lui spettava il compito di difendere gli umani
dall’oscurità che incombeva su di loro.
Guardò le cicatrici sulle mani, alcune salivano fino al gomito, altre gli
deturpavano il viso: erano il suo memento.
Fletté le ginocchia e si lanciò all’attacco, l’impatto col corpo roccioso
dei gargoyle fu devastante.
Sala operatoria.
I medici stavano facendo il possibile per fermare l’emorragia interna mentre
i due ortopedici si stavano dedicando alle fratture. Il neurochirurgo
monitorava l’edema cerebrale.
I genitori del ragazzo erano disperati e furiosi allo stesso tempo. Era
successo ancora a distanza di pochi giorni. Il primario dell’ospedale
psichiatrico gli aveva garantito di averlo sedato per bene e legato al
letto, eppure Cesare si era fatto nuovamente del male.
Prima al braccio, rubando un bisturi da chissà dove, e poi gettandosi dalla
finestra del terzo piano. La sua schizofrenia era peggiorata drasticamente,
credeva di essere una sorta di giustiziere di Dio e si procurava lesioni
sempre più gravi.
Una mente in bilico sul baratro della follia.
«Ora del decesso?», disse freddamente il chirurgo.