Nicomèdes
salì il suo 294° scalino e rimase a bocca aperta. Non già per i suoi 143 chili di peso
che minacciavano di lasciarlo stramazzare a terra ogni giorno di più in quella settimana
di viaggio infernale, ma per lo stupore infinito che lo investì di fronte allo spettacolo
che si apriva sotto i suoi occhi.
Prati verdi grandi come fazzoletti, costruzioni rosso terracotta come scogli fra le
colline, carrozze e dame e gentiluomini minuscoli si agitavano e vagavano come insensati
sulla faccia della terra, lontano, immensamente lontano. Eppure era salito tante volte
sulla Tour Eiffel, solo, allalba, quando lentamente laurora trafiggeva la
struttura scheletrica di ferro e il baratro dellaltitudine scivolava dolcemente
lungo la curvatura fino a sprofondare alla base. Qui pareva molto diverso, una questione
di prospettiva adrenalinica, non voluta dagli artisti italiani che tuttavia avevano dato
vita a unarte ribelle e spontanea che aveva dellequilibrio miracoloso.
Nicomèdes si sporse ipnotizzato, non saccorse della polvere che cadde dalla balaustra di protezione sotto la presa della sua mano nè gli uccelli che presero il volo abbandonando il nido in una finestra bifora, il suo sguardo era perso nellaria che lo circondava, ovunque, nessun piano verticale a legarlo a terra, solo cielo terso e libero, come volare, finalmente leggero. Non più fatica, dolore, rabbia per il fiato corto dopo solo pochi metri di corsa o per orme profondamente incise su una spiaggia vista sempre solo al tramonto. Il sole labbagliò, oltre lantico parapetto, sentiva sotto di sè solo la sensazione vibrante dellaria, poi uno strappo. Un secondo, un terzo, in rapida successione dei tiranti, poi un suono delicato ma vasto, come il canto di una balena e si librò inghiottito nellaria e fu lieve come nessuno fu mai. E fu leggenda.
Nicomèdes Tours
Paris 2047 - Pisa 2064
R.I.P.
Esisto e vivo.