Due bambini scompaiono nel nulla, nella meraviglia generale. Non era mai capitato nulla di così inaspettato in quella minuscola e sonnacchiosa comunità rurale, abituata sin dalla notte dei tempi a condurre uno stile di vita monotono, noioso, dedito solamente al duro lavoro, per cui non v'è spazio all'ozio. La cittadina, situata in un territorio brullo e arido, aveva come sue uniche risorse i campi coltivati a olivi. Non c'erano altre risorse per guadagnarsi da vivere, tranne forse la presenza saltuaria di qualche viaggiatore di passaggio, sempre volenteroso nell'informarsi sulle abitudini del posto e su un buon albergo in cui pernottare, prima di riprendere il viaggio per qualche altro posto più turisticamente appetibile. Certo è che questa doppia scomparsa ha contribuito a scuotere la vita del posto, secondo le menti più ciniche e acute del posto. Il padre dei piccoli, Taffetani, era la classica immagine che si era soliti attribuire alla gente di quel posto: piuttosto tarchiato, tozzo ed estremamente muscoloso, una struttura corporea forgiata da anni e anni di lavoro trascorsi negli oliveti del paese e, data la cronica mancanza di lavoro, nei poderi delle regioni limitrofe. Pur essendo un uomo che esercitava un certo fascino sulle donne, non si era mai preso la briga di risposarsi. La sua giovane moglie, la figlia dei Caldararo, era morta di parto, dopo una violenta quanto incontrollata perdita di sangue conseguita alla nascita dei piccoli che teneva in grembo. Un fatto tanto doloroso si sarebbe potuto evitare, se qualcosa del genere fosse accaduto nelle nostre città, dove è normale usufruire dei moderni ritrovati della scienza: naturalmente, come si può ben capire, è altrettanto normale che in luoghi selvaggi e primitivi come questi sia tradizione mettere al mondo le creature nello stesso letto in cui hanno avuto principio, senza badare alle stesse norme igieniche tanto tenute in considerazione dalle persone civili. L'unico medico che ha assistito a una simile tragedia è stato lo stesso Taffetani, e l'unica testimonianza di quanto accaduto ci è stata data dallo stesso uomo. Dopo essersi occupato personalmente dell'inumazione della sposa ha sempre badato personalmente alla cura e all'educazione dei figli, rifiutando sdegnosamente l'aiuto di qualsiasi vicino di casa, senza nemmeno preoccuparsi di mandarli alla scuola del paese: la casa in cui vivevano i piccini doveva fare da scuola, dormitorio, riparo. La forza d'animo e l'impegno di quest'uomo davanti alle difficoltà della vita risultava quasi commovente agli occhi degli altri, sebbene un atteggiamento simile potesse sembrare piuttosto ambiguo, data anche la difficoltà di poter osservare direttamente la crescita dei bambini, e ben pochi dunque potevano vantare di aver visto i piccoli Taffetani di persona, sia che giocassero o accompagnassero il padre a lavorare nei campi di famiglia. Persino per i nonni dei bimbi, il signore e la signora Caldararo, vedere i nipoti era da sempre un'impresa: l'unica volta in cui erano stati autorizzati dal genero a vedere i bambini era stato al momento della nascita, quando erano stati avvertiti della morte della loro unica, adorata figlia, Lisa. Da quel momento in avanti avevano avuto modo di vederli solamente di sfuggita, quasi accidentalmente, rigorosamente nei pochi momenti in cui il padre non era presente, figura vigile e attaccata in una maniera quasi morbosa alle creature da lui generate. In quelle occasioni i bambini apparivano sereni, sani e robusti. Intenti nei loro giochi infantili i gemellini, il maschietto era biondo, la femminuccia scura, sembravano combinarsi armoniosamente nelle loro impressionanti differenze. La pace che questa visione trasmetteva però veniva prontamente rotta dal padre, che provvedeva a riprendersi i bambini e a portarli in casa, con un'espressione del viso rivolta agli sguardi indiscreti che avevano osato posare gli occhi su quei gioielli che emanava un disprezzo e un odio raro da osservare in chicchessia. La vita di quella famiglia era ignota all'intera cittadina.
Trattando questo caso la polizia ebbe non poche difficoltà a parlare con
Taffetani. Paradossalmente era proprio lui, il padre, ad essere l'ostacolo
più grande per gli inquirenti.
Le indagini erano incominciate in concomitanza con lo scoppio di un'enorme
incendio nato nelle boscaglie in prossimità del paese, dunque le forze
dell'ordine, che avevano la loro sede principale in una cittadina ben più
grande a notevole distanza dal paese, ebbero delle iniziali difficoltà nel
raggiungere il luogo della scomparsa. Soltanto dopo tre estenuanti giorni in
cui la gente della regione si dedicò completamente allo spegnimento del rogo
i due agenti di turno ebbero modo di arrivare in paese e contattare
Taffetani.
L'agente, D'Agata, fu guidato alla casa dell'uomo dalle indicazioni date
dagli altri abitanti della misera contrada. Dopo aver percorso lunghe e
sconnesse strade fra gli oliveti riuscì ad entrare nella tenuta dell'uomo.
I proprietari delle tenute nelle zone rurali, come da norma, per poter
svolgere adeguatamente i loro compiti hanno come dovere principale quello di
mantenere in buone condizioni una buona stalla con almeno tre cavalli, un
fienile, un modesto carro e soprattutto un frantoio. In quel podere non
v'era nulla di tutto ciò, o meglio, c'era, ma in condizioni terribili. Tutti
gli attrezzi erano coperti da una fitta e spessa coltre di polvere, come se
non fossero mai stati usati. Non v'era traccia di animali. L'ambiente
attorno alla casa era altrettanto trascurato, così come la casa. I muri a
secco erano crepati in più punti, e il tetto era anch'esso parzialmente a
pezzi, e tutt'intorno alla tenuta si potevano vedere le tegole rossicce
spazzate via da anni e anni di intemperie. Nessuno aveva mai visto lo stato
della casa dei Taffetani, data la misteriosa avversione che l'uomo provava
per qualsiasi essere umano al di fuori dei propri figli, cosa che non
incoraggiava certo le visite dei vicini.
I poliziotti ebbero subito modo di vedere il padrone di casa ritto sulla
soglia, quasi avesse percepito, come un feroce cane da guardia,
l'avvicinarsi di gente esterna. La diffidenza che lo contraddistingueva lo
portò a salutare l'arrivo dell'agente con un cenno della testa, senza
profferire parola. Anche l'invito dentro casa seguì le stesse modalità di
benvenuto.
I poliziotti fecero il loro ingresso nella tanto temuta dimora.
La gente non sapeva molto sul passato di quest'uomo: si sapeva solo che il
suo carattere sembrava essere eredità di famiglia. Lo stesso padre di
Taffetani, così come il nonno, avevano sempre seguito uno stile di vita
solitario ma laborioso, e grazie ai loro sforzi erano riusciti a costruire
quella casa, in cui l'ultimo rampollo di quella strana famiglia si era
stabilito con sua moglie.
Il signor Fermo, questo era il nome di Taffetani, scritto sul malconcio
cartello appeso al muro accanto alla porta, non aveva mai frequentato la
scuola pubblica, data la mancanza di un qualsiasi edificio dedito
all'istruzione ai tempi in cui era ancora un bambino. Ciononostante quella
casa sembrava appartenere ad una persona molto colta: le pareti erano
occupate da numerosi scaffali, pieni di libri dalle copertine consunte, di
numero talmente elevato da ricoprire anche i ripiani dei vecchi mobili
ricevuti in eredità da tempi immemorabili. Inoltre il proprietario di quella
abitazione pareva anche intendersi d'arte, secondo la personale opinione di
D'Agata. Dappertutto si notavano quadri che contenevano sotto il vetro
quelle che sembravano vecchie stampe, anche se era impossibile riconoscere i
tratti delle figure disegnate, a causa della scarsità di luce. L'ambiente,
nonostante avesse una certa aura di raffinatezza difficile da trovare in
quelle zone così isolate e terribilmente rozze, trasudava un qualcosa di
sudicio difficile da descrivere, a dir poco malsano, di certo non adatto ad
allevare due bambini.
Accantonando le opinioni personali, l'uomo di legge non perse tempo.
- Si accomodi - parlò l'ospite, Taffetani, con voce cupa. Dal suo tono di
voce si percepiva grande dolore. I poliziotti furono guidati ad un
tavolaccio, ad un angolo della stanza principale affollata di libri. Il
poliziotto si sedette.
- Mi scusi per il ritardo. Purtroppo non abbiamo avuto modo di raggiungerla
prima a causa dell'incendio, sa...
- Capisco - annuì Taffetani, assorto.
- Allora, ci dica qualcosa sulla scomparsa dei suoi figli - attaccò a dire
l'uomo - nomi?
Taffetani esitò in un primo momento, quasi fosse stato svegliato, poi,
passato il momento di iniziale sorpresa, pronunciò i nomi dei figli - Lisa,
la bambina, come la madre. Guido, il maschio.
- Bene. Età?
- 9 anni.
- Quando sono scomparsi?
- Il 30 maggio. Stavano con me nel campo di olivi, mi stavano aiutando, e
all'improvviso sono spariti.
- In che modo l'aiutavano?
- Stavo potando i rami marci degli alberi, prendevano i rami che cadevano
per terra e li ammucchiavano tutti insieme, per alleggerire il lavoro di
raccolta.
- Ci dica, sono presenti fossi, buche, pozzi in questa zona?
- No.
- Baracche, ripari, casolari abbandonati?
- Neanche.
- Altri luoghi dove potrebbero nascondersi dei bambini così piccoli?
- No, affatto.
- Il territorio è pianeggiante? Non vi sono colli in rilievo, dove i bambini
possono nascondersi, magari per giocare?
- No.
- Prima che scomparissero sono stati sempre con lei?
- Sì.
- Ha visto auto nelle vicinanze, prima dell'incidente?
- No.
- Ci dica esattamente cosa è accaduto.
Il poliziotto incominciò ad avere i suoi dubbi su quanto accaduto, era
impossibile che due ragazzini si volatilizzassero così, senza un motivo
plausibile.
- Beh, io stavo su un albero, stavo usando una sega per tagliare questi
rami, gliel'ho detto, i bambini stavano di sotto, prendevano i rami e li
mettevano tutti insieme, e poi... non so... mi sono girato per vedere se
facevano quello che gli avevo chiesto e non li ho più visti, non lo so...
- Come è possibile? Non ha sentito assolutamente nulla? Non ha sentito la
voce dei bambini in tutto quel tempo?
- No - il tono dell'uomo, prima leggermente arrogante, stava assumendo una
pericolosa sfumatura lacrimosa. Presagiva un pianto imminente.
- Senta, ci dica tutto quello che sa, temo che ciò che ci ha detto non sia
sufficiente per aiutarci.
- Io... io... non so, lo giuro, n-non saprei dirvi, non so che fine hanno
fatto... Prima stavano vicino a me e poi non c'erano più... i-io... non
posso... - non ebbe tempo di finire la frase, le lacrime iniziarono a
scorrere sul volto del padre addolorato.
L'agente non era preparato a qualcosa di questo tipo. L'unica cosa che
poteva fare per dare un appoggio concreto a Taffetani era offrirgli un
bicchiere di liquore, sostegno valido per non pochi abitanti del posto per
sfuggire alla triste vita di provincia.
- Vuole un bicchiere di qualcosa?
- N-no, guardi, la vado a prendere io, stanno di là, v-volete qualcosa? Ho
molta scelta, chiedete pure...
- Quello che preferisce lei, non si preoccupi - rispose il poliziotto,
alquanto imbarazzato.
- E-ecco, vado e torno, eh... - L'uomo si alzò e si diresse in un'altra
stanza, che si affacciava nel corridoio di fronte alla porta. Non era
possibile distinguere quante stanze ci fossero sul corridoio, a causa del
buio. Prese la prima porta a destra. Il poliziotto sentì dei rumori di
bottiglie di vetro. Il tintinnio cessò, ma Taffetani non tornò indietro.
Sembrò avere un attimo di indecisione, che durò parecchi secondi. Posò la
bottiglia, a giudicare dal rumore secco che seguì. Probabilmente aprì un
cassetto di qualche grosso mobile. Ne tirò fuori qualcosa. Il poliziotto udì
distintamente un clic sommesso.
Uno sparo.
Nata a Roma il 15/01/1992, stressatissima studentessa di liceo classico alla ricerca del modo migliore per esprimersi, che un giorno ha deciso di pubblicare il suo compito per le vacanze estive per ricevere pareri al riguardo.