- Mammina, mammina cara, hanno tagliato il mio albero, l'hanno ucciso!
-
- Che cosa dici amore? Non è possibile, sei sicuro? -
- Sì mammina, quando sono tornato da scuola non l'ho più visto. Adesso, cosa farò? Dove
andrò a dormire? Ti prego, fai qualcosa -
La donna tolse le mani bagnate dal lavandino e le asciugò nervosamente nel grembiule. Lo
slacciò lasciandolo cadere a terra e uscì di corsa sbattendo la porta.
Non si curò nemmeno di chiuderla a chiave.
Non si curò nemmeno che il bambino era vicino e poteva rimanere schiacciato.
Non si curò nemmeno che il piccolo ora corresse in mezzo, troppo in mezzo alla strada.
Non si curò nemmeno della macchina blu che lo attraversò.
Era sudatissima. Agitata come non mai.
Voleva, doveva arrivare là.
E basta.
Correva, aveva dolore alle gambe.
L'altra volta invece, l'ultima volta, erano in macchina.
Pioveva anche l'altra volta.
Molto, molto di più...
Aveva fretta anche l'altra volta.
Troppa fretta.
Una fretta da morire.
Si rivedeva abbracciata all'albero. I vetri rotti mentre guardava attorno.
Il piccolo non era lì.
Non aveva la cintura.
Lui.
Era volato attraverso il vetro, distrutto, contro l'albero, arrotolato all'albero.
Ora finalmente era arrivata.
La curva era lì.
Ancora lì.
Bagnata.
Come l'altra volta.
Bagnata come il suo viso inondato di lacrime quando non vide più l'albero. Restava solo
un moncherino che fuoriusciva dal terreno a radici scoperte.
A terra, i fiori freschi che aveva appeso il giorno prima e la fotografia del suo bambino
che rideva.
Morto.
Però rideva, fortunatamente lui rideva sempre... per sempre.