Sporco incubo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Mi sveglio da un sonno pesante, il lenzuolo macchiato di sudore.
Le molle del materasso gemono al mio rialzo, rilasciando fiocchi di polvere sul pavimento.
Striscio in bagno: un filo rugginoso d'acqua scorre dal rubinetto.
Vado in cucina per colazione: i piatti della cena sono ancora nel lavandino; odorano di pollo fritto.
Per fare prima indosso i vestiti, stropicciati, di ieri.
Esco, le scale di corsa, nell'androne tanfo stantio di urina.
Per strada i cassonetti traboccano; un furgone romba e rilascia una nuvola di fumo nero vecchio diesel.
Stazione della metro, barboni e chiazze di vomito; ecco il treno, porte che scivolano, tanfo di persone mal lavate.
Basta, non ne posso piu'!
Qualcosa mi succede.
Infarto.
L'intestino si scioglie come ultimo atto della vita.
Ma non sono morto, non del tutto: mi sento scivolare fuori e mi vedo dall'alto.

Vedo le persone attorno al mio corpo, seguo l'ambulanza verso l'ospedale, sorvolo il freddo tavolo dell'obitorio.
E' tutto cosi' nitido, inodore, insapore.
E' bellissimo!
Ma allora perche' non riesco a lasciare il mio corpo.
Oddio, ecco il mio funerale.
La bara di legno grezzo.
Barba e capelli continuano a crescere su di un corpo che inizia a decomporsi.
Piove, anzi diluvia e la mota si insinua nella bara.
Gusto di fango in bocca.
Mi sento soffocare.
Mi risveglio tossendo.
La gente del bar guarda, divertita e schifata: sono l'idiota che si e' assopito al bancone e si e' svegliato sputando caffe' sulla cravatta.
Sul bordo della tazzina mal lavata e screpolata, una macchia di rossetto viola.
Fuori ha preso a piovere, sabbia del deserto che si impasta sulle macchine e sulle strade con il guano degli storni.
Esco dal locale.
Ritardo, sono in ritardo.
Scivolo, l'autista dell'autobus non fa in tempo frenare.
Ultimo fotogramma: un pneumatico enorme, sporco incubo.

Giancarlo Manfredi