Udii una
porta aprirsi cautamente al piano inferiore e voci spaventate sussurrare. Cavai la mia
rivoltella dalla fondina.
Avevo bevuto enormemente quella sera, perchè l'aria era impregnata di una umidità
pesante e io avevo la nostalgia delle giornate di sole e delle spiagge estive. Nel bar
"Sito incantato" ardeva una immensa stufa olandese dagli occhi di mica rossi
come l'inferno, il pavimento era coperto di una sabbia bianca come zucchero e il whisky
che servivano avrebbe fatto dannare Sant'Antonio se si fosse avventurato sull'isolotto di
fango che circondava la taverna. Fuori, un birbone di vento autunnale giocava coi fasci
d'acqua e le foglie morte. È comprensibile, quindi, che mi sia trattenuto a bere fino a
quando Cavendish, il padrone, mi mise con squisita cortesia e inflessibile fermezza alla
porta di quel suo paradiso terrestre, profumato dai più straordinari alcool d'Inghilterra
e di Scozia.
La mia casetta di Camberwell, nella quale vivo solo, è fredda e umida. Negli angoli delle
pareti i funghi simulano fantastici tumori lividi; ogni notte la passeggiata delle lumache
si disegna in strisce d'argento sui muri; ma io ci sto come un re e non intendo lasciare
libero accesso a qualche ladro attirato dalla mia argenteria opaca e da tele di valore.
Era ritornato il silenzio. Non si udiva nemmeno il tic tac familiare della pendola
fiamminga del vestibolo, per cui dedussi logicamente che dovevano avermela rubata e fui
colto all'istante da un'ira violenta.
Vedete, la sera quando ritorno a casa non trovo una donna che brontoli e mi abbracci
l'istante appresso, nè il chiassoso benvenuto di un cane, nè la duplice lanterna verde
degli occhi di un gatto; perciò in quell'ora triste e solitaria in cui le meravigliose
fantasie del whisky si staccano da me all'angolo della via come compagni infedeli che
scantonano, io sono felice di ritrovare la mia amica pendola che chiacchiera da sola
nell'oscurità del vestibolo:
- Se-i qui. So-no fe-li-ce! Se-i qui. So-no fe-li-ce.
Ho cercato di farle dire qualcosa d'altro ma non ci sono riuscito. Il mio cervello e la
mia debole immaginazione delle ore notturne si sono rifiutati di adattare altre parole al
suo ritmo. Ed ecco che quest'amica mi è stata rubata! Il primo scalino scricchiolò sotto
il mio passo cauto. Allora una voce sussurrò di nuovo qualche parola, poi un oggetto
tintinnò cadendo e si ruppe mandando un suono acuto. Ora, nella mia camera vi sono calici
di Boemia e di Murano. Sono innamorato del loro splendore silenzioso. La fine di uno dei
miei cristalli mi punse il cuore, ma non ebbi il tempo di riflettere perchè udii al primo
piano lo scatto di una rivoltella che veniva caricata.
Scrutai invano le tenebre del pianerottolo, stupito di non veder entrare dall'occhio di
bue la solita luce dei lampioni della via. Qualcosa sfiorò a lungo il muro al di sopra
della mia testa; feci appena a tempo a chinarmi per evitare la striscia rossa di uno sparo
che rimbombò come un'esplosione: un getto di gas infiammato mi colpì in faccia e mandò
il mio cappello di traverso.
- Canaglie! - gridai. - Arrendetevi!
Una seconda fiammata sventagliò nelle tenebre. Alzai la rivoltella e tirai nella
direzione dello sparo. Un corpo cadde pesantemente senza un lamento.
***
Cercai invano a tastoni il commutatore e ricordai con disappunto di
aver usato l'ultimo fiammifero per accendere la pipa. Raggiunsi il pianerottolo e il mio
piede scivolò invischiato in una massa molle e grassa. Sentii che c'era qualcosa di
orribile ai miei piedi e mi chinai lentamente con angoscia e disgusto.
Ah!... Due mani mi avevano afferrato alla gola.
Due mani enormi, fredde, dure come l'acciaio. In un silenzio assoluto, senza grida e senza
odio, col metodo e la sicurezza di una macchina esse stringevano il mio collo. Le vertebre
scricchiolavano mentre strani bagliori danzavano davanti ai miei occhi. Capii che stavo
per morire...
A un tratto la mia rivoltella sparò da sola. L'aria ritornò ai miei polmoni, le mani
lasciarono la presa... Un rantolo sommesso andava spegnendosi ai miei piedi, sul
pianerottolo buio.
Sempre più sommesso... Poi il silenzio tornò a regnare in tutta la casa. Silenzio,
tenebre, cadaveri invisibili, tutto un dramma incomprensibile che avevo vissuto da
cieco...
Allora la Paura mi saltò sulle spalle e mi spinse urlante verso la porta.
Mentre correvo fuori arrivò lo smog. In due minuti invase la strada, cementò i vicoli,
imbrattò le facciate di uno strato uniforme, soffocò la mia voce che gridava
all'assassino, mi conficcò nella gola dolente un nodo di angoscia. Corsi verso figure
lontane, che svanivano quando mi avvicinavo, suonai a porte che rimasero chiuse su sonni
ostinati.
Non vidi nessuno, nessuno mi vide. Il silenzio pauroso della mia casa insanguinata mi
seguì attraverso la subdola complicità della nebbia.
***
Dopo due ore di corsa vana, quando un'alba pallida cominciò a
gocciolare da mille comignoli mi ritrovai sulla soglia della mia tragica casa.
Mentre aprivo la porta, tremando in ogni membro all'idea dello spettacolo che mi attendeva
e che la notte aveva celato, udii il tic tac della pendola.
***
Era là, col suo bilanciere dondolante.
- Se-i qui. So-no fe-li-ce. Se-i qui. So-no fe-li-ce.
Nè sulla scala nè sul pianerottolo trovai cadaveri. I miei cristalli al completo mi
sorridevano con le loro tenui luci di aurora, di miele e di abissi marini.
Niente si era mosso nella mia casa. Non c'era nemmeno l'impronta di una scarpa sporca di
sangue e di materia cerebrale.
Oh! Oh! Oh!
***
Eppure sul mio cappello c'è il foro di una pallottola. Nella mia
rivoltella ci sono due cartucce bruciate. Il mio collo conserva le tracce di dita, dita
sottili, lunghe, mostruosamente lunghe.
Mio Dio!
Ho chiesto consiglio al whisky ed ora comincio a vederci chiaro.
Mi sono sbagliato di via, di porta: una chiave può aprire tante serrature e tante vie si
somigliano.
Ah! Ah! In un quartiere di Londra che non conosco, in una casa ignota, ho ucciso gente che
non ho mai visto, di cui non saprò mai niente.
- Cameriere, un whisky!
Racconti rari dell'orrore scelti da Sergio Bissoli.