Un'ombra
scivolò veloce sulla parete della stanza. Qualcuno era entrato e adesso era lì,
all'interno della camera. Si era fermato proprio di fronte al letto, e mi stava fissando
(era un mostro!), immobile come una statua di sale, terribilmente reale in tutta la sua
inquietante deformità. Senza un volto, con un cappuccio nero sulla testa, il mostro non
aveva occhi, ma solo palpebre unite al resto del viso, non aveva naso, non aveva bocca, ma
solo contorni amorfi delineanti un viso informe e terrificante.
Terrorizzato, rimasi immobile nella mia posizione per far credere a quella cosa che stessi
dormendo profondamente (maledetto vigliacco!), mentre il cuore mi batteva all'impazzata.
Avevo il respiro accelerato, e più cercavo di respirare piano per non fare rumore, più
veloce batteva il mio cuore. L'aria secca della stanza mi asciugava la lingua e le labbra
ad ogni ansito. Incolore e informe quella faccia senza occhi era fissa su di me, e si
dimenava in violenti e spasmodici sussulti, per poi tornare a fissarmi, ancora.
Brandiva minaccioso un punteruolo acuminato e lucido, argenteo al tenue chiarore della
stanza, ed era pronto a colpire. Chissà quale rumore sordo e soffocato avrebbe prodotto
l'affondare deciso e improvviso del metallo nelle mie carni, senza un perché, senza
combattere (vile codardo!), e con la consapevolezza, pensiero ancor più atroce, che la
stessa sorte sarebbe toccata di lì a poco anche a Sofia.
Un urlo strozzato e terrificante mi usci dalla gola quando lo vidi gettarsi in avanti per
colpire (è la fine!) ma non su di me, su Sofia. La colpì al ventre, una volta, due
volte, tre volte, ed io che non riuscivo a fare altro che gridare, gridare più forte che
potevo. Non riuscivo a muovermi. Avevo le braccia rigide, pietrificate lungo il corpo, e
sangue, sangue dappertutto, nero come il petrolio in quell'oscurità tremenda. Presto le
mie mani immobili si riempirono del sangue di Sofia, caldo e appiccicoso. Su quel letto di
morte, speravo adesso che anche la mia giungesse presto. Ma ad un tratto, ancora chino sul
corpo convulso di Sofia, quel mostro demoniaco smise di affondare i suoi poderosi colpi e
si girò verso di me. Si avvicinò al mio viso sconvolto, mentre la mia voce gridava
disperazione e la mia anima reclamava vendetta (Sofia!). La pelle alla bocca imbrattata di
sangue gli si aprì come squartata dall'interno ed una voce profonda mi rimbombò
direttamente nel cervello: "Svegliati! Adesso! É tutto finito!"
Ma non era ancora tutto finito. Si levò di nuovo sul corpo esanime di Sofia pronto a
colpire, ancora, ma un barlume proveniente dalla strada gli illuminò il volto, e il mio
senno vacillò irrimediabilmente: su quel viso c'era la mia faccia. Su quel volto deforme
c'era la mia bocca urlante e i miei occhi torvi.
Una sensazione di soffocamento mi destò all'improvviso da quell'incubo. Era stato tutto
un sogno. Aprii gli occhi ma non riuscii a dire nulla. Qualcuno mi stringeva il collo in
una presa poderosa. I miei sensi erano intorpiditi, la mia vista offuscata, la mia mente
confusa, con gli occhi sbarrati cercavo un punto di riferimento in quell'oscurità
tremenda. Ero prigioniero in casa mia per mano di uno squilibrato.
<<Se urli, uccido tua moglie!>> mi sussurrò in un orecchio.
Cercai invano di liberarmi da quella stretta, ma più che mi dimenavo, più la presa si
serrava. Sentii qualcosa colarmi sul naso e ne avvertii il sapore ferroso in bocca: era
sangue.
<<Se urli, uccido tua moglie!>> ripeté l'intruso con voce calma e dal timbro
sempre più familiare.
Cercavo di respirare dal naso, ma per l'affanno e la paura di cui ero vittima, mi sembrava
comunque di soffocare. Continuai a dimenare il capo a destra e a sinistra, come un animale
ferito. Pensavo a Sofia e al pericolo che incombeva anche su di lei, e sul bambino.
<<Se urli, uccido tua moglie! Ti taglio la lingua per non farti urlare e i tendini
alle caviglie per non farti scappare come un maledetto vigliacco, poi squarto tua moglie
davanti ai tuoi occhi! Capito?>>
Questa volta il suo messaggio fu chiaro. Mi calmai quel tanto che bastava per fargli
allentare un po' la presa, anche se respiravo sempre a fatica, e feci cenno con il capo
che avevo capito e che non avrei gridato. Sarei stato al suo gioco, non avevo altra
scelta.
<<Chi sei, e cosa vuoi da noi?>> gli chiesi appena mi tolse le sue manacce dal
collo.
<<Vedo che adesso ho la tua completa attenzione.>> La sua voce era calma e
profonda. <<Chi sono io non ha alcuna importanza. La vera cosa importante è chi sei
tu e cosa hai fatto!>> Aveva un passamontagna nero che gli nascondeva il viso, ed un
coltello in mano. Non riuscivo a vedergli né occhi, né bocca. Quel passamontagna era
senza aperture, ma lui mi vedeva bene, e mi conosceva, stando a quello che sapeva sul mio
conto e sul conto di Sofia.
<<Che ho fatto?>> gli domandai. <<Ce l'hai con me per qualcosa che ho
fatto? Per qualcosa che ti ho fatto? Di qualunque cosa si tratti, è soltanto con me che
te la devi prendere. Con me e nessun altro, intesi? Cosa vuoi, soldi? D'accordo, dimmi
quanto e la facciamo finita. Basta che tu mi dica chiaramente cosa vuoi e che non faccia
del male a Sofia.>>
<<Di questo non ti devi preoccupare. Ancora non ci sei arrivato, eh? Io non voglio
soldi, non voglio niente da te. Io sono qui per farti capire, per aprirti gli occhi di
fronte alla realtà. Meglio una morte veloce e indolore, nel sonno, piuttosto che una vita
di sofferenze.>>
<<Non so di cosa tu stia parlando, ma una cosa la so: che la polizia sta
arrivando.>>
<<Non verrà proprio nessuno, amico mio. Nessuno. Siamo soli e resteremo soli per un
pezzo, amico mio.>>
<<Non sono affatto tuo amico. Tu mi hai rapito, e mi tieni in ostaggio in casa mia.
Si può svegliare anche Sofia, e se viene qui,... ti avverto, amico, se provi solo a
toccarla con un dito, io...>>
<<Sai che questo non è più possibile. Primo perché ha preso le gocce per dormire,
come ogni sera, e sai che effetto hanno su di lei. E secondo perché tu hai già...
abbiamo tanto tempo per capire cosa bisogna fare adesso.>>
<<Ma come fai a sapere queste cose? Da quanto tempo ci osservi? Maledetto maniaco!
Si può sapere cosa vuoi da noi?>>
<<Tu sai cosa sono venuto a fare e come faccio a sapere tutte queste cose di te e
della tua adorata mogliettina. So quante volte fate l'amore, quante volte alla settimana
ti fai la barba, cosa mangi a colazione. Conosco molte cose di voi, ma soprattutto, di te.
So del tuo lavoro di rappresentante, e del fatto che sei frustrato perché il tuo lavoro
non ti piace; sempre in giro, sempre lontano da casa, e questo non lo sopporti più
perché non sai con chi si vede lei quando tu non ci sei. Perché c'è qualcuno, non è
vero? Tu lo sai, come lo sanno tutti. Sei lo zimbello del paese, dei tuoi amici. E tutti
verranno a sapere che questo bambino non è tuo!>>
<<Zitto! Fai silenzio! Tu non sai un cazzo! Non ci conosci, non mi conosci! Sei solo
uno psicopatico, un rifiuto della società! Trovi nell'immondizia una scatola di sonniferi
e una rivista con annunci di lavoro e credi di sapere già tutto di noi. Ma la verità è
che sei solo un pazzo scappato da chissà quale posto di merda.>>
<<Oh, ti sbagli, amico mio. So che sei malato, che hai il cancro ai testicoli. Non
ti restano che pochi mesi da vivere, ormai. Io lo so>>
<<Ma come diavolo... chi ti ha detto questa... questa sciocchezza? Non so chi tu
sia, e come fai a sap... a dire queste assurdità. Ma io non sono malato, non ho nessun
tumore. E poi perché sei entrato in casa mia? Perché ci stai facendo questo? Cosa vuoi
da me e da Sofia?>>
<<Ma è proprio per lei che sono qui. Per proteggerla, non capisci? La volevo
proteggere da una vita di sofferenza, di sacrifici, di umiliazioni. Lei ed il suo bambino.
Perché è suo, questo lo sai, è solo suo.>>
<<No! Non ti credo! Sei un bugiardo!>>
<<Ah davvero, io sarei un bugiardo. Hai il cancro ai testicoli, e tua moglie è
rimasta incinta. Mi sai dire chi è stato a metterla incinta? Lo Spirito Santo?>>
<<Sono io, sono stato io. Il bambino è mio!>>
<<Ancora non capisci,vero? Ti sei accorto di non essere legato? Te ne stai costì
seduto per terra ad ascoltarmi, senza che niente e nessuno ti impedisca di alzarti e di
andartene.>>
<<Ma tu hai un coltello!>>
<<Ti sbagli, amico mio. Tu hai il coltello!>>
<<Ma io ho solo questo bast...>> Allibito e incredulo alzando la mano per
mostrare il bastone che avevo preso da dietro l'armadio (ero più che sicuro di averlo
ancora stretto in mano!) mi accorsi di stringere un coltello, lo stesso che avevo visto in
mano a lui.
<<Adesso capisci? Adesso hai capito chi sono io? Chi sei tu?>>
<<Tu sei... io...>>
<<Esatto, amico mio. Tu sei me ed io sono te. In questa stanza non ci sei che tu. Io
non sono altro che il frutto del tuo senno vacillante. Ma sono qui per te. Perché sei tu
che mi hai cercato. Sei tu che lo hai voluto. E ricorda anche questo: è stato per il bene
di Sofia e di suo figlio. Lo avrebbero chiamato bastardo, e lei sgualdrina. Non è giusto
che per colpa di un lavoro che non hai mai amato, per una vita che non ti ha dato quello
che meritavi, per un male che non hai voluto, soffrano ingiustamente anche loro. Tu
morirai, amico mio, e loro sarebbero rimasti soli. Lei, e il bastardo che si porta in
grembo.>>
<<Ma... non è vero, non è possibile. Credevo, prima, che le cose stessero così,
ma non più, non più. Sofia mi ama, e quel bambino è il frutto di un miracolo.>>
<<Sciocchezze, sono solo sciocchezze le tue, e questo lo sai. É tutto vero, fidati
di me. Ma non ti preoccupare, che della faccenda me ne sono già occupato io.>>
<<Ma che vuoi dire? Di cosa ti saresti occupato?>>
<<Adesso alzati e vieni con me.>>
Mi alzai e mi diressi verso la camera da letto.
<<Vedi, amico mio, era una cosa che andava fatta, e tu l'hai fatta nel migliore dei
modi. Ma ricorda, è stato per il loro bene. A questo mondo non esistono cose solo giuste
o solo sbagliate. Alcune volte le cose vanno fatte e basta, senza pensarci troppo su,
senza per forza trovargli una collocazione, senza per forza giudicarle giuste o sbagliate.
E tu hai fatto proprio quello che andava fatto, amico mio, niente di più. E ora che ti ho
detto come stanno le cose, è il momento che tu mi veda in faccia.>>
Si tolse il passamontagna e d'un tratto fu buio tutt'intorno. Nel mio delirio rividi
chiara e terribile la stessa figura inquietante che avevo visto in sogno, il suo volto
deforme, la sua natura disumana. Mi ritrovai seduto in fondo al letto, confuso e tremante,
con le mani e quel poco che avevo indosso sporchi di sangue, dello stesso sangue che mi
stava colando sul naso dalla fronte umida, e del quale avvertii il familiare sapore
ferroso in bocca. Mi alzai incredulo di trovarmi lì, in quel momento, coperto del sangue
di qualcuno. Mi guardai allo specchio e vidi lo stesso mostro che avevo visto in sogno.
Quel viso deforme, era il mio, visto con gli occhi coperti di sangue. Avevo un coltello in
mano, lucido, argenteo nella semioscurità della stanza, strumento di morte e di dolore.
Un urlo soffocato mi squartò l'anima quando toccai il corpo esanime di Sofia, e la mia
immagine riflessa nello specchio prese a contorcersi in spasmi animaleschi. Il mostro era
ancora vivo, ed era sempre stato lì.