L''improvviso
il sole si spense, nel cielo, e il freddo calò sulla terra. Col buio glaciale e
terrificante.
Alcuni lampi furiosi squarciarono l'aria, ma nel cielo (che solo pochi attimi prima era
limpido) non s'erano addensate le nubi.
La lingua di fuoco strepitò ancora e guizzò alta, quasi a squarciare la tenebra
improvvisa.
Un grido si alzò dalla folla muta.
« Dalle la vita, Satana, dalle la vita! ... ». Disse la voce tenebrosa e la folla
fremette...
Una risata glaciale partì dalla lingua di fuoco, dal rogo eretto dal popolo a Welda, la
donna maledetta.
Poi il fuoco si spense.
Le catene si spezzarono e le braccia della strega si alzarono al cielo.
« Maledetti! Maledetti!, gridò Welda; il mio Signore vi distruggerà... ».
La folla era atterrita: le donne s'erano gettate a terra, strappandosi i capelli e
urlando...
Mentre gli uomini fuggivano, cercando di trascinarle. Ma esse parevano attaccate a quella
terra, che le reclamava...
« Maledetto! >>, gridò Welda agli occhi glaciali di Thomas Ravel, l'inquisitore.
Ma Thomas assisteva immobile alla scena.
I suoi occhi freddi non parlavano, nè potevano dire più della loro sete di sangue, della
loro bramosia di cieca, terribile giustizia...
Quante streghe avevano salito il rogo dellinquisitore Thomas Ravel? Duemila?...
Tremila?... Non lo sapeva. Ma quante erano state, tante erano anche le terribili
maledizioni a lui, a Thomas Ravel.
Il fuoco aveva sempre fatto tacere le grida... La morte aveva sempre detto l'ultima
parola.
Ma il cielo non si era mai oscurato, nè le catene s'erano spezzate... ... nè il fuoco
s'era spento... Nè la vita, il trionfo del male, aveva detto l'ultima parola.
Una maledizione che era anche una sfida. Welda, la sua ultima vittima, era incolume. E la
minaccia terribile dei suoi occhi, e delle sue mani protese, giungeva a lui...
Thomas Ravel alzò la mano destra e disegnò nell'aria un segno di croce. Si udì una
risata terribile, ancor più lacerante...
E Thomas Ravel cadde al suolo. Mentre il cielo tornava sereno.
***
Era un nuovo giorno. Sulla piazza, miste alla fanghiglia che la pioggia
vi aveva depositato nella notte, le rimanenze dei tizzoni e della cenere. II rogo era
tutto consumato lì...
Thomas Ravel aprì con violenza le persiane e si fece alla finestra. Le strade erano
semideserte, le porte e le finestre erano serrate.
Il silenzio stava passando per la piazza.
L'occhio di Thomas Ravel fu al centro della piazza, sul groviglio di cenere e fango.
Cercò di rammentare. Si portò le mani alle tempie e cercò in se stesso.
Poi, con gli occhi sbarrati, rammentò.
Trattenne a forza un grido di terrore. Non poteva essere:.. Non poteva credere... Sentì
le tempie battergli forte, con impeto...
S'avvolse nel mantello e scese. Incontrò il maggiordomo sulle scale.
- Che è accaduto ieri, Otto?... Che è accaduto...?
Il maggiordomo lo guardava esterefatto. In tanti anni, tantissimi anni, non aveva mai
visto il suo signore, l'inquisitore Thomas Ravel, tanto sconvolto.
- ...Siete svenuto, monsignore... E i domestici vi hanno portato al palazzo...
- Sono svenuto, sì... Ma... cosa è accaduto... prima...
- Prima, monsignore, - il vecchio maggiordomo teneva la testa abbassata; - non è accaduto
nulla di particolare... C'è stata l'esecuzione di quella strega e...
- E cosa è accaduto?
- Nulla, monsignore. Il fuoco ha fatto giustizia, come sempre. Solo che voi siete
improvvisamente svenuto...
Thomas Ravel lo fissava.
Poi, con uno scatto improvviso, lo colpì al volto, violentemente.
- Cane, tu menti! gridò, e si precipitò giù per la scalinata, con tanta furia che per
poco non cadde.
Alle sue spalle, quasi echeggianti il ritmo dei suoi passi furiosi, si ripercuotevano i
tonfi del corpo di Otto che esanime precipitava.
Fuori era freddo, del freddo proprio di un cielo sereno ma distaccato, lontano dall'ansia
degli uomini.
Thomas Ravel si precipitò al centro della piazza.
Schiacciò col calcagno i tizzoni spenti del rogo e si guardò attorno, con furia.
- Strega maledetta, imprecò, maledetta Welda, dove sei?... Vieni, vieni e mostrati, se
hai coraggio, figlia di Satana!
Le sue grida si ripercossero fredde sui muri grigi delle case basse che limitavano la
piazza.
Si udì un profondo boato, e le grida dell'inquisitore furono coperte... Nessuno era
attorno.
E nessuno vide.
Ma Thomas Ravel al suolo, morto. Indubbiamente morto.
***
Gli avvenimenti sono precipitati, e il ricordo di Welda, la strega
salita al rogo di Thomas Ravel, linquisitore, è confuso nel tempo, nei due secoli
che da allora sono trascorsi.
La brulla provincia di Normandia mostra le sue ossa, nelle pietre secolari che affiorano
dal terreno arso, su cui cresce aspra la vite, dalla quale i contadini traggono ragione di
lavoro e di vita. Gli anziani hanno scolpito nella mente la tradizione che i loro padri
gli hanno tramandato, ma non parlano facilmente delle <cose> che essi solo conoscono
e che hanno timore di narrare agli stessi figli.
Ma nella triste e brulla provincia di Normandia, al centro di una vasta rada piantata a
viti, c'è una piccola città morta. Con dimore antiche di secoli, dimore tetre,
abbandonate. Case patrizie accanto a dimore plebee.
***
Quando giunsi a X. stava calando la sera. Avevo l'indirizzo di mio
cugino, che vi gestiva l'unica locanda-albergo. Per la verità un così lungo viaggio in
provincia non mi entusiasmava, sia perchè il lavoro s'era accumulato sul mio tavolo, sia
perchè non poteva in nessun caso trattarsi di un viaggio, di piacere.
La morte improvvisa di mio zio, avvenuta in uno strano incidente stradale, (oltre ad
avermi occupato moltissimo nelle brighe legali dell'indennizzo assicurativo) mi
costringeva ora a prendere contatto con questo mio unico cugino, in Normandia, per
l'accomodamento delle pratiche ereditarie, che ci spettavano completamente e per evitare a
qualche avvocato in vena di spennare, un improvviso interessamento a qualcosa che non
risultava forse chiaro, soprattutto negli immediati e del tutto straordinari interessi
comuni di cugini che non si conoscevano.
Non che mi interessasse molto la mia fetta di eredità (si trattava di terra e la terra,
ben si sa, se non può servire a sfruttamento in campo edilizio, al giorno d'oggi non può
meritare troppa considerazione) ma tenevo a che il mio nome, che era il nome di mio zio e
di mio cugino, non venisse turpamente coinvolto in eventuali manovre speculative.
***
Fu così che giunsi a X. che stava calando la sera.
Non mi fu difficile rintracciare la locanda e vi giunsi con la sola indicazione di un
curioso sfaccendato, che incontrai, sdraiato nel bel mezzo della carreggiata a sassi,
all'ingresso della cittadina.
« Il Signor Ravel? - disse -; non dovete andare lontano, amico: il suo albergo è
l'unico, in paese. Ve lo troverete di fronte, non appena sarete nella piazza. Proseguite
tosto, in quella direzione. E buona fortuna...».
« Buona fortuna a voi, signore... ». Dissi. Ma il mio consigliere non era più lì. La
strada era deserta. E non c'era anima viva. D'intorno era brullo e l'occhio poteva
spaziare sino all'orizzonte, da una parte, e dall'altra sino alle ancora lontane case
della cittadina.
II mio interlocutore era svanito.
Scossi la testa e imprecai al gin, che avevo sorseggiato abbondantemente, nel lungo
cammino, sulla mia Ford di modello antiquato.
E mi convinsi che avevo sognato.
Anche se poco dopo, seguendo le indicazioni del « sogno », mi ritrovai in una larga
piazza, deserta e fangosa. Al mio cospetto s'alzava, attaccata con ferri a una vecchia
abitazione, una targa: « Locanda della Strega ».
***
E poi quell'uomo uscì e si fece innanzi. Pareva l'antro dell'inferno,
quell'uscio di legno intarsiato, troppo bello e troppo raro per una modesta locanda di
campagna.
- Buongiorno, dissi.
- Buongiorno. Mi chiamano Sebastian Ravel, sono il padrone della locanda.
- Felice di conoscervi, Sebastian. Io sono Thomas Ravel, vostro cugino.
- Thomas?
L'espressione buia che gli solcò il volto, per un attimo, mi colpì.
- Sì, Thomas, vostro cugino.
Tacque ancora.
- Che siete venuto a fare, azzardò con una domanda troppo impacciata; che siete venuto a
fare, cugino?
Indubbiamente l'accoglienza non era delle migliori.
- Innanzitutto, dissi, vorrei un poco ristorarmi del lungo viaggio e pensavo che la vostra
locanda potesse accogliermi...
- Che siete venuto a fare?
Ora la sua voce era dura, ostile.
- Cugino, io...
Con la grossa mano alzata spazzò il vento, Sebastian, in un segno di collera.
- Io non ho cugini, quando questi si chiamano Thomas Ravel... Che siete venuto a fare?
- Non comprendo la vostra ostilità, io... Sono venuto per la morte dello zio, per la
questione della eredità.
- Non voglio sapere nulla, signore: potete voltare e rifare tranquillamente la vostra
strada. Vostro zio non era mio zio. Io non ho più nulla da spartire con i Ravel, razza
maledetta...
- Come osate?
- Come osate voi presentarvi qui: in questa terra che i Ravel hanno distrutto, presso
questa gente che vi odia, anche se ha accolto me non come un Ravel, ma come uno di loro...
Andate, e il più lontano possibile, signore. Il nome dei Ravel non è gradito da queste
parti. E tantomeno un Thomas Ravel.
E stato vostro zio a imporvi quel nome?...
Non attese una risposta.
- È stato lui. E ora le sue ossa sono nido delle serpi. Andatevene, razza maledetta...
Lo guardai insistentemente, sbalordito.
- Voi siete pazzo, cugino. E io non so che diciate... Vi basti che non raccolgo le vostre
offese perchè non posso considerarle... Siete pazzo.
Sul suo volto restava insistente quell'ombra.
E mi parve che avesse qualcosa di terrificante. Forse veramente quell'uomo che io
consideravo cugino ma che aveva così barbaramente ripudiato la mia famiglia, nascondeva
qualcosa.
- Non so, ripresi, più calmo, perchè l'abbiate tanto con me e con la mia famiglia,
cugino (debbo chiamarvi così nonostante tutto) ma vorrei rassicurarvi circa le mie
intenzioni. Io non sono venuto a farvi del male e voglio anche rispettare le vostre
opinioni, per quanto possano essere offensive per me e il povero zio... -
- Il povero zio... - rise di una risata isterica, cattiva; - il povero zio: quel
vampiro!...
***
Un vampiro!... Cose dell'altro mondo. E mio cugino diceva così di mio
zio, un uomo riservato, è vero, parsimonioso, è altrettanto vero, ma non certo...
Eppure, poche ore dopo, nel camminare pensoso, lungo una strada polverosa e scarna,
delimitata da siepi assetate, per quella contrada che mi era tanto ostile, mi convinsi che
l'affermazione di mio cugino intendeva nascondere qualcosa. E che le sue parole non
potevano essere solo dettate da un vecchio rancore verso lo zio e nemmeno celare l'accusa
di vampirismo all'ombra d'una diceria che voleva il mio povero congiunto quasi un
succhiatore di sangue...
Ma nel senso finanziario, della cosa, nè più nè meno di un qualsiasi esattore delle
tasse.
Stava calando la sera. E certo non potevo dire che bastassero le prime caute ombre a
rinvigorire il verde della pianura e nemmeno a ristorare gli alberi strani, soffocati
dalla polvere stagnante.
Il paese l'avevo lasciato alle mie spalle da un po' di tempo. Non lo scorgevo nemmeno, nel
voltarmi, mentre continuavo a camminare con passo indeciso, sempre dritto per quel budello
di strada, fino...
Beh, non lo sapevo dove stessi andando. E nel camminare mi ritrovai a considerarmi sotto
una luce buffa. Io, Thornas Ravel, cacciato da un villanzone di cugino, a perder tempo per
quelle strade polverose, mentre la sera stava calando... A perder tempo quando la
missione, se missione poteva chiamarsi, era andata in fumo... E quando in città mi
attendeva lavoro arretrato di mesi...
Le mie considerazioni si bloccarono di colpo.
Il sentiero era improvvisamente finito. Troncato come per conseguenza di una frana, mentre
il terriccio polveroso si spaccava su di uno strapiombo che dava, paurosamente...
Paurosamente: la piccola valle mi colpì per il suo strano aspetto.
Terra rossiccia, macerie di rozze abitazioni seicentesche, nere per il fumo e il fuoco che
avevano dovuto distruggerle... E gli sterpi, arsi e riarsi, assetati... Sotto quella luce
che l'ultimo raggio del sole vi faceva precipitare, spaccando in due una improvvisa nube
pesante, che era apparsa in quel momento.
Una città morta, distrutta da chissà quanto tempo, e abbandonata al suo destino,
sfuggita dagli uomini.
Volli scendere dalla spaccatura del sentiero. Inciampai più volte, e più volte slittai
sul terreno friabile, che si sgretolava.
Poi caddi. La terra mi entrò negli abiti, e mi dette fastidio, quasi ripugnanza. Mi girai
su me stesso, a terra, e provai come un senso d'angoscia. Poi guardai là, in quel punto,
là, dove...
Sì, era lui, lo stesso viaggiatore... Quello che avevo incontrato e che sorrideva, che mi
aveva indicato il paese, poche ore prima... E che era svanito...
- Dovevate venire qui, disse la sua voce che non era la voce di prima.
- Dovevate venire qui, Thomas Ravel, ripeté. E' una legge inesorabile, quella del sangue,
Satanael chiama le sue vittime e i suoi schiavi
Ed essi debbono correre.... La
strada è lunga, lo so, e lo sa anche lui, una strada di secoli, che viene percorsa nelle
vene più che per i sentieri... Una strada che si chiama sangue... Una strada che porta a
un solo luogo...
Una risata terribile e notai come il suo volto fosse contratto, demoniaco.
- Dovevate venire qui, riprese, dovevate venire all'appuntamento con Welda, Thomas
Ravel... Lo sapete, aggiunse dopo un attimo di sospensione, lo sapete, se siete venuto
qui, che lei non è morta... Lo sapete!
***
Nessuno.
L'immagine era svanita... Mentre l'eco di quelle parole terribili pesava ancora nell'aria.
Guardai da quella parte, dove l'immagine si era formata per poi dissolversi nel nulla...
Uno strano sentore, una nebbia leggera, rada. Mi avvicinai. Una strana colonna dorica,
strana per quell'ambiente, forse in quel posto da secoli, ma forse impiantatavi da poco...
Non recava tracce di fuoco... Era mozza e splendida, come l'arto d'un sublime poeta,
spezzato dalla troppa forza dellingegno. E, sì, accanto a quella colonna... Sì,
potevo toccarlo e palparlo, un velo di seta, lievissimo.
***
Pochi sprazzi di rosso sangue, nel cielo lavato, poi il tuono. La notte
e la tempesta si sposavano, e il buio, pesante, cominciava a cadere. A cadere fisicamente,
come per toccarmi e per avvolgermi nella sua pesante e opprimente coltre di terrore, in
quell'atmosfera allucinante, che mi opprimeva sempre più e che, nel suo incomprensibile
mistero, andava schiarendo alla mia mente il segreto di una antica responsabilità che ora
sentivo.
Thomas Ravel, il mio nome... Mio cugino mi aveva detto maledetto per razza maledetta...
Aveva detto vampiro di mio zio e ora... Ora il viaggiatore era tornato, per dissolversi, e
per rammentarmi un appuntamento che ignoravo...
« Dovevate venire qui, dovevate venire all'appuntamento con Welda, Thomas Ravel... Lo
sapete, lo sapete, se siete venuto qui, che lei non è morta... Lo sapete! ».
Welda... Un nome non nuovo, ma senza volto. Un nome che già avevo udito, con certa
apprensione nella voce, dalle labbra di mio zio... Welda, la strega!
« Sì, la strega! ».
Quella voce. Quella voce dal buio. Rabbrividii. Quella voce veniva di là, dalla tempesta
e dalla notte. Un lampo: e la terribile scena si rischiarò, mostrando le grinze di quel
vecchio volto macerato di vecchia. Un volto senza corpo, con l'odio fissato negli occhi
gialli, incavati nel buio delle pieghe cadenti, con lurlo lacerante impresso nelle
pieghe contratte della bocca...
« Sono io, Welda, Thomas Ravel... Sono passati trecento anni... Non mi riconosci? ».
Racconti rari dell'orrore scelti da Sergio Bissoli. Uscito in 8 puntate su Terrore, mensile tascabile della Editrice Sansoni, dal giugno 1962 fino a gennaio 1963. Un piccolo gioiello di atmosfera, stile e trama. Autore completamente sconosciuto, forse pseudonimo; il suo nome comunque non è rintracciabile nei dizionari degli scrittori dellorrore.