Sono da
qualche parte nella mia casa, almeno io credo, immobili come gechi, silenziosi, viscidi e
meschini. Non importa quale sia l'ora, ogni ora della notte è quella buona. Tutto accade
all'improvviso: quando mi stendo nel letto e le palpebre si fanno più pesanti, i pensieri
si confondono col sogno, il respiro cresce, loro mi sono addosso, rapidi come tentacoli di
un polipo. Sembrano mani quelle che mi avvinghiano, una per ogni arto, una mi chiude la
bocca, un'altra mi serra gli occhi. Le dita che mi toccano sono gommose, forse indossano
guanti, forse sono fatte così, non le ho mai viste coi miei occhi, non ha mai visto le
loro mani, posso solo sentirle, fredde, sulla nuda pelle. Penso "è la fine".
Ogni notte per me è la fine. Mi sollevano di forza, non so di preciso quanti siano, non
fanno nessun rumore e non parlano. Sembra che neanche respirino. Tre? Quattro? Non
faticano. Mi caricano come fossi uno spaventapasseri da portare nel campo. Posso agitarmi
o fare il peso morto, non fa alcuna differenza, sono il balia dei miei assalitori.
Mi tirano giù dal letto che sia inverno, caldo sotto il piumone nel mio pigiama in
flanella, o d'estate, scoperto e in mutande. In questa stagione sento la paura carezzarmi
ogni centimetro di pelle, perchè le coperte sembra mi possano proteggere, almeno una
volta, una soltanto. In estate invece sono nudo. Sento il loro respiro sibilare nelle
orecchie, i loro arti sfiorarmi le membra. Rabbrividisco.
Mi portano via, dopo avermi afferrato, e usciamo di corsa, non riconosco la strada, non è
la stessa che farei io da sveglio. Corriamo lontano, non so dove, non riesco a capirlo. La
mattina seguente provo a ripercorrere il tragitto, ma tutto sembra diverso: ho soltanto
vissuto la notte di quei mostri, che non appartiene al mio mondo. Dimensioni parallele e
diverse, una per ogni notte, mai lo stesso percorso, sono spaesato.
Provo a non addormentarmi, cerco di rimanere sveglio e tiro avanti fino all'alba. Vorrei
vederli, nella speranza di poter reagire, combattere, affrontarli a viso aperto. Non
potrei mai vincerli. Ma per una volta mi basterebbe anche solo osservare i loro volti,
conoscere i miei aggressori, guardarli negli occhi. Sortisco l'effetto opposto. Non arriva
nessuno quella notte, non mi prendono. Funziona, dico. Fino alla sera seguente, poi
crollo. Dopo ventiquattrore il sonno ti assale comunque. Esistono torture di questo tipo:
una goccia d'acqua cade ritmicamente sulla testa, rendendoti impossibile il sonno. Se non
parli, dopo due giorni di veglia il cervello muore. Non ho intenzione di fare la stessa
fine.
Allora cerco di immedesimarmi in loro con l'intenzione di studiarli, silenziosamente, come
essi fanno con me. Faccio finta di dormire. Chiudo le palpebre, accenno a russare. Non
arriva nessuno. Atterrito, ma col desiderio di capire, aspetto ad occhi serrati ancora
qualche minuto. Nulla. Loro vedono nell'oscurità, decido. Conoscono tutto ciò che gli
sta accadendo intorno, anche nella più buia notte di novilunio.
Mi rimane un futile tentativo, dettato dalla disperazione, girare per casa e cercare negli
angoli più remoti. Ho già provato molte volte, ma continuo, imperterrito, anche se
camminare tra le mie mura di notte mi è diventato impossibile. Non si permetterebbero mai
il lusso di colpirmi da sveglio, eppure, camminando vicino le porte aperte che danno
sull'oscurità delle stanze, non posso fare a meno di avvertire un loro braccio, che sbuca
dall'oscurità e mi afferra con le sue dita viscose. Soltanto un'impressione. Un goccia di
sudore gelato mi percorre la schiena.
Mi faccio coraggio e guardo in ogni angolo, anche il più angusto, dove solo un
contorsionista, quello che si lussa ogni legamento ed entra in una valigia, potrebbe
infilarsi. Apro lentamente ogni sportello, faccio scorrere silenziosamente l'anta della
doccia.
Arrivo fino alla soglia della cucina, ho paura di svoltare e trovarli lì. In questi
momenti vorrei non aver mai desiderato vederli. Nei pochi attimi precedenti l'ingresso
ipotizzo che siano lì ad aspettarmi, intenti nelle loro cose, mostruosi intrusi con
gialli occhi dall'espressione ebete che mi fissano avidamente. Immaginarli rende ancora
più agghiaccianti questi esseri, forse soltanto uomini, più probabilmente creature dalla
natura inumana.
Non mi resta che tornare a letto. Vorrei mettermi a piangere, a volte ci riesco. Piango
dell'isteria di chi vorrebbe opporsi ad un qualche evento, ma può soltanto subirlo,
impotente.
Nel letto li avverto intorno a me. La sensazione che può vivere solo chi è capitato in
un bosco di notte. Il vago timore di essere circondati da spiriti, esseri incorporei che
ti osservano curiosi. Senti il cuore che pulsa pesante, secondo una sua logica, il
sentimento che non segue la ragione.
Ho provato a pensare, a sperare, che venissero da fuori, ma l'ipotesi non è plausibile.
Ho blindato porte e finestre, non vengono minimamente forzate. Sono qui da qualche parte,
solo così possono intuire il momento in cui cado in stato letargico. Ma dove siete
nascosti? Non mi resta che attendere. Alla fine, tra una televendita e l'altra mi
assopisco, e non ho scampo.
La cosa più angosciante di questa vicenda è che nonostante quello che mi accada ogni
notte, la mattina seguente mi ritrovo nel mio letto, come se nulla fosse stato. Suona la
sveglia, apro gli occhi. Tutto è nella posizione in cui si trovava la sera precedente. La
tivù accesa, i vestiti sulla sedia, la porta socchiusa.
Mi alzo, apro le persiane e vado in bagno. Mi guardo allo specchio e non ho lividi,
nonostante mi abbiano stretto forte le caviglie. Nudo, non noto alcun segno addosso,
cicatrici, punture. Stabilisco di non essere la loro cavia: capirei se mi avessero
sezionato, aperto, iniettato qualche sostanza. Allora perchè mi prendono per poi
rimettermi nel mio letto?
Alla fine mi rassegno e torno in camera da letto, mi accovaccio sotto il letto mentre un
brivido mi percorre tutte le duecentosei ossa e guardo anche lì sotto, nulla.