Lo pensò.
Non era un pensiero buono, ma lui lo pensò.
La bambina era legata, piangeva.
Lui rise, con il coltello in mano, digrignò i denti.
Gengive.
Passò la lama fredda sul corpicino della piccina, l'accarezzò.
Pregustava il momento in cui l'acciaio freddo avrebbe lacerato carne di latte.
Il pannolone emanava fetide vampate di merda.
Sferrò il primo fendente. Un braccio. Sangue. Grida di bambina.
Il secondo e poi il terzo.
Il pianto soffocato dal sangue in gola.
Soddisfazione!
La porta di casa si aprì.
La mamma.
"Marco dov'è tua sorella?".
Il bimbo sorrise.
"Non c'è più!".
Scrivo da poco, anzi da meno, seguendo la passione del mio ragazzo. Inevitabilmente mi è entrata dentro come un parassita divenendo la mia libera espressione. Un modo per esprimere quello che ho nella testolina e niente più.