La morta

Uscii di casa e, senza saperlo, senza volerlo, mi diressi verso il cimitero. Qui trovai la sua tomba, davvero molto semplice, una croce di marmo e poche parole: "Amò, fu amata, e morì." Lei allora era lì sotto, imputridita! Che orrore! Io singhiozzavo, con la fronte al suolo. Restai lì per tanto, tanto tempo. Poi mi accorsi che la sera arrivava. Allora un desiderio bizzarro, folle, un desiderio da amante disperato si impadronì di me. Io volevo passare quella notte vicino a lei, un’ultima notte, piangendo sulla sua tomba. Ma mi avrebbero visto e fatto allontanare. Come fare? Fui astuto. Mi tirai su e mi misi ad errare in questa città degli scomparsi. Camminavo, camminavo. Come è piccola questa città in confronto all'altra, quella nella quale si vive! Ed allo stesso tempo quanto sono più numerosi dei viventi, questi morti. A noi occorrono delle alte case, delle strade, tanto di quel posto, per le quattro generazioni che guardano al giorno nel medesimo istante, bevendo l'acqua delle sorgenti, il vino delle vigne e mangiando il pane delle pianure.
E per tutte le generazioni dei morti, per tutta la scala dell'umanità che discende fino a noi, non occorre quasi niente, un campo, quasi niente! La terra li riprende, l’oblio li cancella. Addio.
In fondo al cimitero aperto alle visite, notai all'improvviso quello abbandonato, quello in cui i vecchi defunti finiscono per mescolarsi con il suolo, dove anche le croci imputridiscono, dove un domani verranno messi i nuovi arrivati. Qui crescono libere le rose, così come dei cipressi vigorosi e neri, in un giardino triste e superbo, nutrito di carne umana. Io ero solo, completamente solo. Mi rannicchiai in un albero verde. Mi nascosi per intero, tra i suoi rami grassi ed ombrosi. Ed attesi, aggrappato al tronco come un naufrago ad un relitto. Quando la notte fu nera, molto nera, abbandonai il mio rifugio, e mi misi a camminare dolcemente, a passo lento, a passo sordo, su questa terra piena di morti. Vagai a lungo, a lungo, a lungo. Non la ritrovai. Le braccia protese, gli occhi aperti, sbattendo nelle tombe con le mie mani, con i miei piedi, con le mie ginocchia, con il mio petto, persino con la mia testa, avanzavo senza trovarla. Toccavo, tastavo come un cieco che cerca la sua strada, tastavo pietre, croci, grate in ferro, corone in vetro, corone di fiori essiccati. Leggevo i nomi facendo scorrere le dita lungo le lettere. Che notte! Che notte! Non la ritrovavo.
Niente luna! Che notte! Avevo paura, una paura tremenda, lungo questi stretti sentieri fra due linee di tombe! Delle tombe! Delle tombe! Delle tombe. Sempre tombe! A destra, a sinistra, davanti a me, intorno a me, dappertutto, delle tombe. Mi sedetti su una di esse, poiché non potevo più camminare per quanto le mie ginocchia cedevano. Sentivo battere il mio cuore! E sentivo anche dell’altro. Che cosa? Un indefinibile e confuso rumore! Era nella mia testa confusa, nella notte impenetrabile, o sotto la terra misteriosa, sotto la terra disseminata di cadaveri umani, questo rumore? Intanto mi guardavo intorno.
Per quanto tempo sono rimasti lì? Non saprei. Ero paralizzato dal terrore, ubriaco per lo spavento, pronto a urlare, pronto a morire. E improvvisamente mi parve che la lapide sulla quale ero seduto si smuovesse. Certo, si stava muovendo, come se fosse stata sollevata. Con un balzo mi gettai sulla tomba vicina, e vidi, sì, vidi la pietra che avevo appena lasciato sollevarsi tutta dritta; ed il morto comparve, uno scheletro nudo che la allontanava dalla sua schiena ricurva. Vidi, vidi molto bene, sebbene la notte fosse profonda. Potetti leggere sulla croce: "Qui riposa Jacques Olivant, deceduto all'età di cinquantuno anni. Amava i suoi, fu uomo onesto e buono, e morì nella pace del Signore." Adesso il morto stava leggendo le cose scritte sulla sua tomba. Poi raccolse una pietra del sentiero, una piccola pietra aguzza, e si mise a cancellare con cura quelle parole. Le cancellava proprio tutte, lentamente, guardando con i suoi occhi vuoti la superficie su cui prima erano incise; e con la punta dell’osso che un tempo era stato il suo indice, egli scrisse in lettere nitide, come quelle linee che si tracciano sui muri con la punta di un fiammifero: "Qui riposa Jacques Olivant, deceduto all'età di cinquantuno anni. Detestò la morte di suo padre perché voleva esserne l'erede, torturò sua moglie, tormentò i suoi figli, ingannò i vicini, rubò quando gli fu possibile, e morì miserabile."

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Quando ebbe terminato di scrivere, il morto immobile contemplò il suo lavoro. E mi accorsi, voltandomi, che tutte le tombe erano aperte, che tutti i cadaveri ne erano usciti, che tutti avevano cancellato le menzogne scritte dai loro parenti sulle pietre funebri, per ristabilire la verità.
E vidi che tutti erano stati i carnefici dei loro congiunti, efferati, disonesti, ipocriti, bugiardi, furbi, calunniatori, invidiosi, e che avevano rubato, ingannato, compiuto tutte le azioni infamanti, le azioni abominevoli, questi padri buoni, queste spose fedeli, questi figli devoti, queste caste e giovani figlie, questi probi commercianti, uomini e donne cosiddetti irreprensibili.
Scrivevano tutti all'unisono, sulla soglia della loro dimora eterna, la verità santa a terribile che tutti sulla terra ignorano o fingono di ignorare. Pensai che anche lei l'aveva dovuta incidere sulla sua tomba. E adesso senza paura, correndo nel mezzo delle tombe aperte, dei cadaveri, degli scheletri, mi diressi verso di lei, sicuro di trovarla all’istante.
La riconobbi da lontano, senza nemmeno vedere il viso avvolto nel sudario. E sulla croce di marmo su cui prima avevo letto: "Amò, fu amata, e morì." adesso intravidi: "Era uscita un giorno per ingannare il suo amante, prese freddo sotto la pioggia, è morì."
Rimasi come appoggiato, inanimato, al lavare del giorno, vicino a una tomba.

Traduzione di Serena Imperiale

Guy de Maupassant

Guy de Maupassant (1850-1893 ) ha scritto più di trecento racconti e novelle. Il 31 maggio 1887 uscì sul giornale Gil Blas il racconto intitolato "La morta". Il narratore è forse vittima di un'allucinazione quando vede i morti uscire dalle tombe e scrivere sulle loro lapidi quello che furono realmente in vita?



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