È notte fonda, quando Luca si sveglia. Buck abbaia, nel cortile della cascina; non lo fa mai. Infastidito, Luca cerca a tentoni l’interruttore della lampada da comodino. L’abbaiare si fa insistente. L’interruttore scatta, ma non c’è luce.
Un altro blackout, pensa Luca. O hanno tagliato i fili?
Inquieto, si alza dal letto. Poggia i piedi nudi sul pavimento freddo. Infilate le ciabatte, va alla finestra, ma attraverso le fessure delle imposte non si vede nulla. Buck latra, furioso. Luca si infila il cappotto e corre giù per le scale. Davanti alla porta, si accorge che fuori è sceso il silenzio. Deglutisce a vuoto.
Calmo, ragiona.
Prende l’attizzatoio dal camino e spalanca la porta, impugnandolo come un’arma. Il cortile è vuoto, la luna piena alta nel cielo. Il cancello della recinzione, che separa il cortile dalla vigna, è aperto. Oltre i filari, il bosco è una massa oscura.
«Buck.», chiama Luca, un tremito nella voce.
Gli risponde un guaito lontano, che gli fa correre un brivido lungo la schiena e accapponare la pelle.
L’hanno preso, devo aiutarlo.
Luca corre attraverso il cortile.
«Buck, dove sei?»
Un uggiolare al limitare del bosco. Lo stomaco stretto in una morsa, Luca entra nella vigna. Scivola, finendo a terra, e l’attizzatoio gli sfugge. L’erba è fradicia; Luca si guarda i palmi, alla luce lunare.
Sangue.
Col cuore che martella le tempie e un sapore metallico in bocca, fissa a occhi spalancati il bosco buio. Si alza un vento gelido. Fruscii e sibili si susseguono, nel folto e fra i filari. Sono ovunque; poi si concentrano in un punto, davanti a Luca. Un’ombra emerge dalle tenebre. Occhi gialli, artigli e zanne come rasoi, la carcassa sventrata del cane che pende tra le fauci. Paralizzato, Luca sente le viscere sciogliersi.
Scappa.
Troppo tardi: l’ombra è su di lui.