Cento metri

La piccola non aveva capito bene perché fosse successo. I suoi dieci anni non le permettevano di comprendere appieno gli orrori di un regime, i soprusi, i rastrellamenti feroci.
In quell'epoca di guerra civile bastava un semplice sospetto, una voce, un'ipotesi, per essere catalogati come "Nemici della Patria" e sparire nel nulla in una notte, com'era accaduto alla famiglia della sua migliore amica.
La bimba aveva capito solo che ne stava condividendo lo stesso destino, ma chissà cosa aveva provocato tanta rabbia verso la sua famiglia. Nessuno le aveva mai detto nulla.
Forse era stata la scelta di mettersi a coltivare frutta, anziché solamente verdura. Lei lo aveva detto, a papà, che di frutta ce n'era già tanta, al mercato, ma lui non rispondeva, e continuava a scrivere quelle lunghe lettere che poi spediva chissà dove.
Quella notte fu svegliata da un gran fragore e dalle urla della sua mamma, poi sentì dei colpi d'arma da fuoco.
Lei e le sue due sorelle maggiori cercarono rifugio dove potevano, nell'angusta cameretta, erano terrorizzate e confuse.
Non fecero in tempo. Un gruppo d'uomini armati fece irruzione nella stanza. Prima di dire qualunque cosa spararono a tutto ciò che si muoveva.
Sua sorella più grande si gettò su di lei.
Solo un proiettile colpì la spalla destra della piccola.
Gli uomini, poi, smossero i corpi per verificare se qualcuna fosse sopravvissuta.
Qualcuno spostò il corpo immobile sopra di lei, lanciandolo di lato come un sacco di spazzatura.
La bambina piangeva sommessamente, per il dolore e per il terrore. Sentiva la sua mente cedere alla paura. L'uomo sopra di lei sembrava un immenso mostro d'ombra, tanto erano scuri i suoi vestiti. Anche il volto era coperto.
La fissava senza dire nulla.
Un altro mostro, identico, al primo, gli si affiancò. Fece un gesto improvviso, l'arma che aveva in mano emise un rumore metallico, poi venne puntata verso di lei.
Istintivamente la bambina si coprì gli occhi con le manine.
Non successe nulla. Alzò lo sguardo, timorosa.
I due mostri d'ombra parlavano tra loro, ridacchiando. Lei non capiva quello che si stavano dicendo.
Poi il secondo mostro si voltò verso di lei e, senza esitare, la colpì alla fronte con la parte posteriore della sua arma.

Il soffio leggero dell'aria fresca del mattino la risvegliò.
Sentiva un terribile dolore alla testa e alla spalla destra.
Aprì a fatica gli occhi. La luce del sole li feriva. Si passò le mani sul viso, sentì un rilievo sulla sua fronte. A toccarlo faceva ancora più male.
Si sfiorò la spalla. Qualcuno le aveva applicato una fasciatura sulla ferita. Bruciava così tanto che faticava a muovere il braccio, ma almeno non usciva più sangue.
Si mise a sedere, lentamente. Guardò intorno a sé, era in un grande campo aperto. Ad alcune decine di metri vide altri bambini, come lei, tutti ben distanziati l'uno dall'altro. Qualcuno si alzava già in piedi. Davanti, piuttosto distante, vide un accampamento, di quelli che scorgeva quando, con i suoi genitori, usciva dalla città. Sapeva che laggiù c'erano molti soldati.
Era confusa, non ricordava com'era finita lì, poi guardò il suo corpo. La sua camicia da notte era tutta sporca di sangue, al punto che i coniglietti che la ornavano sembravano affogarvi dentro.
La vista delle ampie chiazze rosso cupo le fece tornare in mente ciò che era successo: gli spari, sua sorella, i due mostri. Sembrava un brutto incubo, ma non lo era.
Tutto, intorno a lei, disegnava la più spaventosa realtà che gli innocenti occhi di un bambino potessero vedere.
Scoppiò a piangere, non sapeva che altro fare. Voleva la mamma, il papà, le sorelle.
Sentì uno sparo provenire dall'accampamento. L'istinto di conservazione la fece gettare di nuovo a terra.
Da quel punto d'osservazione poté vedere un bambino, che andava nella direzione opposta rispetto a dove era partito il colpo, accasciarsi al suolo dopo che la sua testa sembrava essere esplosa.
Sentì una voce provenire da un megafono.
- Bambini, venite tutti con calma verso l'accampamento, e avrete salva la vita. Non cercate di riunirvi, camminate tutti in questa direzione.
La bambina non capiva: perché l'avevano messa in mezzo ad un enorme terreno per poi farla camminare in direzione dell'accampamento?
- Chi non inizia a camminare entro dieci secondi, - proseguì, perentoria, la voce - o si muove in una direzione diversa da quella che gli è stata ordinata, farà la fine del vostro amichetto.
La piccola, spaventata, si alzò in piedi, barcollando leggermente. La terra era fredda, sotto ai suoi piedini nudi.
Stava per fare il primo passo quando un boato tremendo la fece gettare a terra nuovamente, tremante.
Guardò nella direzione dello scoppio. Con orrore vide un bambino, più grande di lei, urlare di dolore, a terra. Le sue gambe erano poco distanti da lui.
Quelle urla agghiaccianti finirono molto presto. Poco dopo, il ragazzino smise anche di muoversi.
La voce riprese a parlare, come un maestro che guidava una scolaresca in gita:
- Avanti bambini, riprendete a camminare. Chi arriva al campo sarà salvo. Avrà da mangiare, da bere ed un bel regalo. Non abbiate paura, sono solo cento metri.
La piccola si alzò di nuovo, anche se le gambe facevano fatica a reggerla, tanto tremavano. Aveva capito dove l'avevano portata.
Aveva sentito parlare di quei posti dove nascondono sotto terra delle specie di bombe che esplodono quando qualcuno ci cammina sopra. Non sapeva com'erano fatte, ma ne conosceva il nome: mine.
Gli stessi mostri che avevano ucciso le sue sorelle, e probabilmente i suoi genitori, si stavano ora divertendo con lei e gli altri sventurati bambini.
Con il cuore in gola provò a fare un piccolo passo in avanti. Non appena posò il piede sentì tutto il suo corpo rabbrividire.
Non successe nulla.
Espirò con forza.
Osservò nuovamente intorno a sé. Gli altri stavano procedendo come lei, molto lentamente. Da quello che poteva vedere erano circa una decina in tutto, tra maschi e femmine. Ce n'erano alcuni più piccoli di lei.
Poi guardò avanti a sé. Non c'era modo di capire dove fossero nascosti gli ordigni. Notò che, un po' più avanti c'erano i corpi dilaniati di quelli che, prima di lei, avevano fatto lo stesso tragitto, senza portarlo a termine.
Un'altra tremenda esplosione fece cessare ogni suo pensiero. Si accucciò terrorizzata, con le mani alle orecchie. Le lacrime iniziarono a scendere copiose dai suoi occhi.
Voleva scappare, ma aveva paura di morire. Forse, se avesse almeno provato, avrebbe avuto una possibilità di salvarsi.
Con gli occhi ancora gonfi dal pianto, si rialzò. Si voltò verso dove aveva sentito l'esplosione. Il corpo di una bambina giaceva immobile sul terreno. Notò che era leggermente più avanti di lei.
Improvvisamente si voltò verso i cadaveri che aveva visto poco prima.
Non erano proprio in linea con il tragitto che avrebbe dovuto compiere, ma non erano neanche troppo distanti. Pensò che, probabilmente, fossero partiti dal suo stesso punto e che, fino a dove erano saltati in aria, avessero trovato un percorso sicuro.
Si fece coraggio. Con le gambe che tremavano all'impazzata, provò a fare un passo in quella direzione. Posò il piccolo piede sul terreno. Non accadde nulla. Allora, sempre molto lentamente, incominciò a fare un altro passetto.
Ci fu un'altra esplosione che la gettò nuovamente nello smarrimento, ma stavolta fu peggio. Assieme alle urla della bambina che era saltata in aria, sentì le grida di un altro bambino. Si voltò: a qualche decina di metri da lei, un ragazzino stava correndo verso l'accampamento, in preda al panico.
Un'altra violenta detonazione mise fine anche a quella voce. La vittima fu scagliata verso l'alto, poi cadde a terra ad alcuni metri dal punto dove era saltato, senza più muoversi.
I brividi si fecero più forti, le sembrava di non avere quasi più il controllo del suo corpo. Sentiva che anche lei stava per mettersi ad urlare e a correre. Fece passare qualche istante nell'immobilità più completa, poi sentì nuovamente la voce che incitava lei e gli altri a riprendere a camminare.
Cercò di recuperare un po' di lucidità. Si alzò e, lentamente, riprese il suo tragitto verso il primo dei cadaveri che giacevano sul suo cammino. Poi si fermò.
Anche chi stava più avanti di lei doveva aver fatto un volo di qualche metro, prima di cadere dove lei lo vedeva. Quindi il percorso non era assolutamente sicuro.
Stava per ripiombare nella disperazione, quando notò un piccolo cratere poco più avanti a lei. Capì che era quello, il punto dove l'ordigno era esploso, scagliando più in là il corpo dilaniato di quel bambino sfortunato.
Cercò di concentrarsi sul suo percorso. Era l'unica cosa che non la faceva precipitare nel panico.
L'angoscia, in ogni caso, non l'abbandonava mai, era come una gelida e pesante coperta che portava sulle spalle. Ogni volta che si sentiva sfiorata da uno dei lembi di quella coltre, lei provava un brivido gelato lungo tutto il corpo.
Lentamente, Un passo dopo l'altro, raggiunse il punto dove era esplosa la mina che aveva ucciso il bambino poco più avanti a lei.
Guardò meglio. Si sbagliava: a giudicare dalla camicetta da notte doveva essere una bambina.
Provò orrore, per quel povero corpicino dilaniato dalla deflagrazione.
Ora doveva passarle accanto per raggiungere il successivo cadavere.
Fece un altro piccolo passo, lentamente. Le sue gambe faticavano a reggere il suo piccolo corpo e minacciavano di cedere ad ogni movimento.
La paura la stava letteralmente divorando. Non poteva mai essere completamente sicura del percorso che stava seguendo. Inoltre, ad ogni esplosione che sentiva, la sua mente vacillava sempre di più.
Guardandosi intorno notò che erano rimasti sì e no in cinque, almeno da quel che riusciva a vedere.
Vedeva l'accampamento un po' più vicino, ma le sembrava sempre distante chilometri. Davanti ad esso stavano alcuni soldati. Uno di loro teneva in mano un megafono, un altro un fucile.
Un altro passo. A pochi metri da lei c'era un altro corpo, l'ultimo, poi avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Un'altra esplosione, ancora urla, ma questa volta non smettevano. Probabilmente il bambino, stavolta, non era stato ferito a morte.
La piccola s'inginocchiò gridando a sua volta, gli occhi sgranati fissavano quel terreno maledetto su cui era costretta a camminare.
Un colpo di fucile la ammutolì: il soldato armato aveva posto fine alle sofferenze dello sventurato ragazzino.
La mente della bambina fu sul punto di cedere definitivamente al terrore. Il suo cuore batteva all'impazzata. Ricominciò a singhiozzare.
Riuscì a stento a concentrarsi sul breve percorso quasi sicuro che aveva da compiere.
Più avanti stava il corpo di un'altra bambina che, prima di lei, era riuscita ad arrivare fino lì.
Camminando più leggera che poteva, come per non far sentire al terreno la pressione del suo peso, raggiunse il punto dove la mina era già esplosa.
Si trovò, da quella posizione, a poter osservare il volto della bambina morta, a pochi metri da lei. La riconobbe: era la sua amica scomparsa tempo addietro.
I piccoli occhi azzurri e la bocca spalancata facevano sì che quel viso restasse pietrificato in un eterno urlo di terrore.
Lo shock fu troppo forte. Con tutto il fiato che aveva in corpo, la piccola emise un urlo lancinante, poi scoppiò in un pianto dirotto.
Il suo corpo smise di seguire gli ordini della sua mente. Chiuse gli occhi e iniziò a correre all'impazzata.
I suoi piedi nudi calpestavano il terreno, incuranti di quello che poteva esserci sotto, ma le orecchie erano già pronte a sentire l'esplosione.
Non accadde nulla. Almeno finché non inciampò e cadde in avanti.
Un sasso le aveva salvato la vita.
Oltre alle mani escoriate e al ginocchio sbucciato, la spalla aveva iniziato a farle male da morire, ma ormai non le importava nulla, si sentiva già morta dentro, voleva solo raggiungere i suoi genitori e le sorelle, in cielo.
Improvvisamente, da poche decine di metri più avanti a lei arrivarono dei rumori di spari ed esplosioni. Alzò leggermente lo sguardo, sempre tenendo la testa tra le mani, come per proteggerla.
Vide i soldati di prima a terra, sembravano morti. Al loro posto c'erano degli altri uomini che, preso il megafono, urlarono a tutti i sopravvissuti di stare fermi, di non muoversi assolutamente, che sarebbe venuto qualcuno a prenderli.
La piccola non poteva crederci. Qualcuno era venuto a salvarla!
Iniziò a piangere e a ridere insieme, il suo cuore si riempì di speranza. Si voltò per raccogliere il sasso dove era inciampata, quel sasso che le aveva portato tanta fortuna e che avrebbe conservato sempre con sé.
Le sue mani indugiarono, non era una pietra, quella che aveva urtato, ma un piccolo disco di metallo che sporgeva dal terreno.
Poco importava cosa fosse, lo raccolse ugualmente...

Fabrizio Vercelli