Fiutai
lodore del pericolo. Listinto mi urlava di fuggire, ma sapevo che se lo avessi
fatto non avrei avuto scampo e per il predatore sarebbe stato più facile catturarmi. Mi
appiattii il più possibile contro la terra umida e cercai di nascondermi tra lerba.
Abbassai le lunghe orecchie e fiutai ancora una volta laria. Lodore del
predatore era ancora più intenso. Si stava avvicinando.
Sentii i suoi passi felpati sfiorare la terra. Sentii lerba spostarsi, come per
rendere omaggio al corpo maestoso del felino. Il cuore cominciò a martellarmi nel petto,
sempre più forte. La mia piccola gabbia toracica stava per esplodere. Il leone mi aveva
già fiutato e si stava avvicinando. Non riuscii più a trattenermi: rizzai le orecchie e,
con un gesto fulmineo delle zampe posteriori, scattai in avanti.
Anche se, come ogni lepre, possedevo robuste zampe per fuggire, nulla erano in confronto agli enormi arti del leone. Egli infatti mi raggiunse in pochi balzi. Lalito fetido dellanimale mi colpì il muso, appena prima che le zanne si stringessero sul mio pelo soffice. A che serviva dibattersi? Nulla avrebbe fermato quella morsa dacciaio. Sentii i denti penetrarmi nelle viscere. Un liquido caldo, viscoso, macchiò la mia pelliccia. Un dolore rovente mi si sparse dalladdome per tutto il corpo, così insopportabile che i miei ultimi spasmi, per quanto rapidi, sembrarono non finire mai. Spirai in un gemito strozzato, mentre la belva cominciò a nutrirsi delle mie carni.