L'intruso - di Marco Siena

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

Bussa da un'ora ormai. Inutile cercare di attirare l'attenzione dei vicini. Tutte le finestre sono chiuse, le luci spente. Ho chiamato i carabinieri. Hanno risposto che arriveranno. Il cane, in compenso, è ancora vigile e guaisce con le orecchie afflosciate. Sembra impaurito. Chi diamine è, questo imbecille? Perché continua con quel bussare ritmico? Qualcosa che mi spaventa, mi trattiene dall'uscire.
«Basta! Hai rotto i coglioni! Cosa vuoi da me?», urlo disperato. Non riesco a dormire, né a fare altro. Peggio della tortura della goccia.
L'unica risposta che ottengo, è quel tac, simile a lo scrocchiare di ossa. Salgo le scale di corsa per prendere l'unica arma che ho, l'asta per la botola della soffitta. Tenendola stretta tra le mani, mi aggiro per il salotto. Il cane è nascosto sotto al tavolo ora. Ho un terrore atavico che non conoscevo e non credevo di poter provare. Entro in cucina, facendo scricchiolare le assi del vecchio impiantito, che ho deciso di cambiare dal primo momento che l'ho visto. L'unico rumore che sento ora, è il ronzio del frigorifero. E il mio ansimare.

Sembra che se ne sia andato. Prendo una birra dal frigorifero. Quando mi volto, me lo trovo davanti, la bocca spalancata e gli occhi lattiginosi. Fa scattare la mascella che produce quel tac che sentivo prima. Senza pensarci due volte, lo colpisco con la bottiglia in testa. Un urto secco, e il sangue schizza dappertutto, come se avessi colpito un pomodoro marcio. Stramazza sul pavimento, mentre il suo sangue bagna il legno.
Vomito, piegandomi in due. Il cane guaisce dal salotto e mi raggiunge. Mi rialzo, e sbigottito vedo che l'uomo non c'è più. Di lui rimane solo la pozza di sangue che pian piano si asciuga, sempre più in fretta, fino a rimanere una macchia scura sul legno.

Marco Siena