Sapete, qui
tutto è niente.
Ho iniziato il mio viaggio, questo ne sono sicuro, ma non mi ricordo quando, e da dove.
Ormai sono stanco, le gambe non mi reggono più, la mia mente è offuscata dalla fatica
fisica di quest'inutile corpo. Perché? Ho lasciato la mia famiglia, la mia casa, i miei
ricordi, per partire verso una piccola stella che chiamava e incitava con un flebile suono
il mio nome.
Ho camminato a lungo attraverso strade di qui non ricordavo il nome e l'esistenza; a volte
correvo veloce, perché quel suono magico e ipnotizzatore che mi offuscava la mente con la
pronuncia del mio nome, m'incitava a fare più in fretta.
Sono passate molte notti ormai.
Non una città o essere vivente ho potuto incontrare. Solo una grande strada grigia che
s'inoltra attraverso un paesaggio di chissà quale immaginazione. Grandi colori di una
brillantezza incredibile dipingono questa natura surreale; enormi cerchi d'energia cosmica
volano in cielo, dei quali non oso pensare la natura. Sono lì, che ruotano su se stessi e
segnano strane orbite in cielo; la loro velocità è portentosa, nessun mezzo aereo fatto
nascere dalla nostra più enorme tecnologia può arrivare a ciò.
Durante la notte si colorano dei più svariati colori e tonalità, e danno sollievo alla
mia spossatezza e mi fanno compagnia con i loro volteggi durante il dormiveglia.
La mia Giulia. Dove sarà? Perché non è qui con me? La mia nostalgia per il suo viso non
ha confini; ho bisogno del suo nome e del calore delle sue parole, perché qui mi sento
solo e abbandonato.
Durante il mio cammino, verso chissà quale luogo, soltanto l'ombra della mia materia
organica mi ha fatto un po' di compagnia. La solitudine spacca il cuore, adesso lo so.
Forse è questo lo scopo del mio lungo percorso? Capire attraverso la mia solitudine e la
mia angoscia di questa desolazione, la sofferenza di altri uomini del nostro passato?
Percepire attraverso la loro aurea di uomini che furono, i loro disgraziati sentimenti?
Perché ormai mi è chiaro che qui tutto è irreale e tutto può succedere.
Ma io non ho paura. Che vengano pure questi fantasmi dal passato ad eliminare dalla mia
testa le mie speranze e i miei amori. Li cancellerò con la mia forza e la mia energia.
Raggiungerò il mio astro, che m'indicherà la strada del ritorno.
Il nome dei miei ricordi ha dato nuovo rigore e forza a quest'involucro. La strada non mi
fa più paura. Pregare tutti i Dei del cielo e della terra, ecco cosa posso fare.
Sono sicuro di farcela, di arrivare alla meta e di fare ritorno nella mia realtà, che mi
sta tanto a cuore. Mi sento leggero; la mia ostinazione interna si è fatta più grande e
più spessa, e mi accompagnerà per tutto il tempo che il buon Dio verrà.
Passo dopo passo, sento la voce del mio nome più forte e insistente. E' ora, sono sicuro,
di conoscere la natura del mio richiamo mentale.
All'improvviso m'appare qualche cosa d'inaspettato. Proprio in mezzo alla strada, scorgo
un oggetto familiare, che mi riempie di puro sentimento la mia anima. Si tratta, e lo dico
con immenso stupore, di un cofanetto color argento con bordi dorati con incise sopra le
lettere G.P, le iniziali della mia gioia. Un tuffo nel mio focolare mi scaturisce la vista
questo semplice presente, in quanto esso è viva nella mia testa appoggiato sopra ad un
mobilio della camera da letto che condivido con la mia semplice metà. E in un attimo il
ricordo dei miei momenti passati con naturalezza e spensieratezza m'assale con piacere;
sto ricordando il dolce momento nel quale ella me lo regalò, semplice firma del nostro
patto d'amore e di sentimenti piacevoli, l'espressione del suo viso, che m'incantava con
la sua enorme vitalità, e quegli enormi occhi che mi regalavano momenti d'assoluta
contemplazione vitale. E quel bacio, così furtivo e innocuo, che tanto ha aumentato il
calore dei nostri corpi puri.
Lo raccolgo da terra e cerco di aprirlo, senza risultato. Con infinita tristezza cerco di
aumentare le mie forze per aprire ciò che m'appartiene, perché esso contiene la foto
della mia Giulia. Ma tutto appare inutile, sembra che una strana energia voglia tenerlo
chiuso per isolare dall'esterno ciò che in esso è contenuto.
Come mai tutto questo? Neanche la felicità di riconoscere su un quadrante dorato un viso
solare che mi riempirebbe d'eterna gioia? Il mio destino è irrazionalmente lontano dalla
mia fortuna. Tutti i miei sforzi sono inutili e ingiustificati.
Una rabbia interna mi divora il cuore e l'anima; all'improvviso succede qualche cosa.
Il paesaggio che mi ha circondato fino al quel momento cambia in modo inaspettato;
un'enorme nube nera carica d'odio e disprezzo si avvicina dal più lontano orizzonte, per
sovrastare con i suoi malefici il cielo fino adesso dipinto dai più bei colori della vita
terrestre.
Mi sento spaesato, carico di una ragionevolezza inquietudine. Che cosa è mai tutto
questo? Che le mie preghiere abbiano suscitato un attacco d'ira agli Dei di questo
sconosciuto mondo?
Cadono le foglie dagli alberi e i fiori cessano di far circolare la loro linfa vitale,
rendendoli secchi paragonabili a dita in putrefazione.
Il sole si trasforma in un enorme buco nero, dal quale sembrano nascere voci che cercano
di attirare la mia attenzione imprecando aiuto da chissà quale artificio di stregoneria
più antica.
Non sopporto queste urla, inizio ad urlare imprecazioni contro tutto ciò che mi circonda.
Lancio lontano il cofanetto, e proprio mentre tocca il suolo si sprigiona in quel punto
una fitta nebulosa inorganica carico di un puzzo di cadaveri in putrefazione. Un'oscurità
cerca di avvinghiare il mio io, in una morsa d'irrequietezza e timore con qualche cosa
d'innominabile e viziato, che non può esistere nel mio mondo reale.
Le entità luminose, lassù nel cielo, non ci sono più. Al loro posto enormi creature,
spaventose a qualsiasi occhio umano e divino. Grandi mostri volanti, viscidi e purulenti
che non conoscono nome nel mio vocabolario. Sono fatti di un colore verde scuro, non hanno
zampe per appoggiare il loro corpo impuro su questo terreno, il muso è una vera bestemmia
al lato più bello della natura terrestre. Dio, i loro occhi; non contengono vita ed
esistenza, è la morte la loro unica pienezza.
Emettono versi riconducibili alla vita infernale dei condannati di Satana. Solo odio e
perversione mi vengono alla mente.
E' un insulto al mio coraggio e alla mia ostinazione? Non devo guardarli.
Sento il mio corpo travolto dalla non esistenza, dalla non vita di queste paure volanti.
Il male è il loro cibo. E in un momento la mia ragione è invasa da terrificanti visioni
di terrore; un'ondata di corpi, che una volta contenevano anime e sentimenti, in fila
indiana, che s'avvicinano ad un enorme fiume formato dalle più alte fiamme dell'inferno.
Enormi feti umani che non sono altro che cibo per un immenso cane a tre teste dipinto di
un colore scuro come la notte. E quale orrore... le madri sono lì, ad assistere,
obbligate da una forza maligna ad assistere a quell'immondo spettacolo.
E poi ancora, una quantità di corpi mozzati dalle loro teste che si trafiggono a vicenda
con enormi spade con incredibile odio e intolleranza. Dal cielo scendono gocce di sangue
che contaminano con i loro più spietati virus tutto ciò che bagnano. Sento le forze
abbandonarmi, le mie gambe non mi reggono più. Ad un tratto la mia vista si colora di
un'oscurità quasi inspirata, e poi...
Mi sveglio. Non so dopo quanto tempo. Tento di alzarmi e un dolore mi
colpisce in pieno il costato e la schiena. Emetto un urlo strozzato.
Mi aiuto aggrappandomi ad una sedia che è lì, vicino a me. Il tempo di abituarmi ad una
flebile luce, proveniente da una grande luna piena, che entra da una finestra socchiusa e
colpisce i miei occhi deboli, e mi rendo conto del luogo in cui mi trovo: le sedie stile
ottocento, le tende color rubino a me tanto familiari, il camino che tante volte ha
accompagnato le mie letture durante l'inverno e quel dipinto che raffigura una fanciulla
in fiore nell'attimo del suo più invincibile momento di bellezza... non posso sbagliare,
questo è la sala da pranzo del mio lontano focolare.
La mia testa è in confusione. Non riesco a capacitarmi di ciò che è successo.
Ora che sono in piedi cerco di avvicinarmi alle scale che mi porteranno al piano
superiore, dove è situata la stanza da letto. Con enorme sforzo salgo gli scalini. Ogni
passo da mia crescente speranza di rivedere la mia donna nel suo letto, accompagnata dai
più bei sogni mai fatti.
Ecco, riesco a vedere la porta. Ormai sono arrivato. Non oso pronunziare il suo nome per
non turbarla e riportarla in questa realtà. Con una mano tremante apro con delicatezza la
porta e...
Quale incredibile orrore?? La mia lei... non può essere. Quel corpo macchiato dal suo
stesso sangue che fuoriesce da una profonda ferita sulla gola.
La stanza è piena dell'odore di morte, che è venuta a portare via ciò che una volta
m'apparteneva.
La mia vista non riesce a percepire quell'orrendo spettacolo, e lo rifiuto con tutta la
mia volontà.
Volgo il mio sguardo verso lo specchio, e in quel momento vedo. Il mio viso colpito dai
lineamenti di puro odio e ostilità. Gli occhi orfani della lucidità mentale che
m'aspettavo di vedere, i capelli arruffati e sporchi di sangue coagulato. Osservo le
impronte di liquido vitale che mi sono lasciato dietro le spalle, sul pavimento colore
marrone lucente.
Ma soprattutto, indugio lo sguardo su quel particolare, che mi fa scattare un urlo
interiore più forte di qualsiasi altra cosa esistente al mondo. Quel PUGNALE, che esce
dalla cinta dei miei calzoni, imbrattando di scuro sangue il mio vestito!!!!!!!!!
Adesso devo andare. La ragione mi sta abbandonando.