Per le strade della notte

Cristo santo se è magro..." disse la ragazza indicando l'uomo dall'altro lato del marciapiede. Con una gomitata richiamò l'attenzione dell'amica, poi tornò ad indicare l'uomo.
Il tizio era dall'altra parte della strada, intento a guardare le macchine che passavano. Era a piedi, cosa rara per trovarsi in piena notte sui marciapiedi delle strade di periferia.
"Cazzo, è magrissimo. Guarda come è alto, farà più di due metri," disse l'amica. Restarono a guardarlo per qualche minuto, poi l'uomo si accorse di loro. E sorrise. Guardò a destra e a sinistra, poi attraversò la strada con tre falcate. Si piazzò di fronte alle due ragazze.
"Buonasera," disse. E sorrise di nuovo. Le due ragazze non riuscirono a vederli la faccia, era notte, e si vedeva poco.
"Ciao. Che vuoi?" chiese una delle due.
"Prova a indovinare," rispose l'uomo senza finire di sorridere. Poi fece scroccare le dita. Lunghe dita magre. Le due ragazze rimasero a osservare le braccia bianche e lunghissime. Erano piuttosto magre, con pochi muscoli, ma non per questo magre da fare schifo. Avrebbero anche potuto rompere il collo a un uomo, se avessero voluto.
"Costiamo molto, sai?" disse una delle due ragazze con una sottile nota maliziosa.
"Che hai, la figa d'oro?" chiese l'uomo bruscamente. Ora non sorrideva più e aveva un ghigno spazientito sulle labbra. Fece schioccare di nuovo le dita.
"No, non abbiamo la fica d'oro. Se l'avessimo non saremmo qui. Ti pare?" disse la ragazza, offesa.
Che stronzo, pensò. Sentì di nuovo lo scroccare delle dita.
"Hai un tic?" chiese curiosa l'amica della ragazza. L'uomo sorrise. Non riuscivano ancora a vederne bene la faccia e gli occhi.
"Sì, ho un tic. Continuo a scroccare le dita, se non te ne sei ancora accorta. Allora, torniamo agli affari. Tu," disse indicando la ragazza. "Quanto fai?"
"Se non mi rompi le palle e non mi metti fretta, venticinque euro per una sveltina," e si scostò i capelli dalla bocca. L'uomo guardò i lunghi capelli della ragazza.
"Hai dei bellissimi capelli, sai? Se non sbaglio sono biondo scuro..."
"Castano chiaro," lo corresse la ragazza.
"Vabbè, castano chiaro. Sono comunque bellissimi. Di che nazionalità sei?"
"Ucraina, lei," disse indicando l'amica, "è albanese. Ti frega qualcosa o non ti vanno le straniere?"
"No, tutto a posto, tranquilla. Solo che sentivo il vostro accento diverso dal normale," disse velocemente l'uomo.
I tre rimasero a guardarsi per qualche secondo, in silenzio. Poi la ragazza interruppe dicendo: "Allora, che fai?"
"A, sì, scusa. La sveltina non mi va, facciamo quaranta per una roba minimamente normale."
"Bene, vieni," disse la ragazza.
"No, ti porto io in un posto. È sicuro, e mi sento più tranquillo. Vieni" disse l'uomo. Prese per mano la ragazza, e cominciò a trascinarla via. Poi si voltò, e disse all'amica della ragazza: "Ah, non ti preoccupare, te la porto indietro tutta intera!" e sorrise. In quel momento era sotto un lampione, e le ragazze riuscirono a vederlo bene in faccia. Aveva i capelli scuri, probabilmente non se li tagliava da due mesi. I lineamenti erano regolari, la pelle bianca. Gli occhi, due pozzi neri e profondi. A quella vista la ragazza puntò i piedi. La stretta della mano dell'uomo si fece più stretta. Poi s'allentò. L'uomo abbassò lo sguardo sulla ragazza.
"Che c'è? Qualcosa non va?" chiese con voce bassa. Alla ragazza sembrò che la sua voce fosse una botte di odio pronta a straripare. Ebbe paura, ma solo per un momento.
"No, niente," rispose a bassa voce. E seguì l'uomo.

 

Svoltarono qualche angolo di strada, poi proseguirono dritti per diversi metri. L'uomo le teneva ancora la mano, e non mollava la stretta.
"Ma quanto sei alto?" chiese per rompere il silenzio opprimente.
"Due metri e otto," rispose l'uomo. La sua voce era appena un sussurro.
Dopo una ventina di metri i due si fermarono. L'uomo guardava il limitare del bosco. La ragazza cercò di distinguerne l'espressione, ma non vedeva quasi niente. Distinse solo le labbra serrate e la mascella contratta. Poi l'uomo entrò nel boschetto.
Una fitta attraversò il fianco della ragazza. Puntò i piedi per la seconda volta. L'uomo serrò la stretta alla mano.
"Mi fai male..." disse la ragazza. E cercò di liberarsi dalla presa.
"Smettila, si può sapere che cazzo hai?" ringhiò l'uomo. La ragazza continuò a lottare per liberarsi dalla presa. D'un tratto l'uomo si voltò, e con la mano libera mollò un pugno sulla bocca della ragazza. Il suo labbro inferiore si spaccò di netto, e il sangue cominciò a sgorgare. Con la mano che teneva quella della ragazza, la trascinò nel bosco. La ragazza cercò di urlare, ma il dolore e lo shock glielo impedirono.
L'uomo la trascinò per qualche metro dentro il bosco, poi la mollò. Le dette uno schiaffo, e la ragazza cominciò a svegliarsi e a rendersi conto di quello che le era appena successo.
"Ma perché..." cominciò a balbettare. Il sangue le sgorgava copioso dal labbro, riempiendole la bocca di un sapore salato. Si portò la mano alla bocca e sentì il labbro gonfio e dolorante. Poteva sentire anche il sangue che continuava a pompare, ma che fuoriusciva dai capillari. Sputò sangue e saliva, poi alzò gli occhi sull'uomo, il quale troneggiava sopra di lei.
"Ma perché..." tornò a chiedere.
L'uomo la guardò, poi disse: "Ma vaffanculo troia! Pensi di avere la fica d'oro, vero? Eh troia? Adesso ti faccio vedere io puttana!" e le prese i capelli. Poi la sollevò di peso. La ragazza cominciò a urlare e a divincolarsi, tentando di afferrare le mani dell'uomo.
"Zitta troia!" urlò l'uomo, e le mollò un calcio nello stomaco. La ragazza non riuscì a respirare per qualche secondo, poi prese fiato e urlò per il dolore allo stomaco.
"Ti ho detto di stare zitta! Cazzo! Puttana!" e le scrollò i capelli.
"Ma perché..." piagnucolò la ragazza.
"Perché sei una troia, e a me le troie non piacciono. Sta zitta!"
"Ti prego, ho capito, perdonami, perdonami... prendi i soldi e lasciami stare... ti prego..." disse la ragazza. Il sangue le si mescolavano con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi. Gemette un poco, poi tornò ad implorarlo: "Mi fai male... ti prego..."
L'uomo sembrò fermarsi per un momento.
"Ti prego... ho una bambina a casa..." mormorò la ragazza. L'uomo rimase immobile.
"Ma stai zitta! Mi prendi per il culo? Dicono tutte la stessa cosa."
"Ti prego..." mugugnò ancora la ragazza. L'uomo cacciò un ringhio e le tirò un altro pugno nello stomaco. La ragazza scoppiò a piangere, singhiozzando. Il corpo scosso da sussulti. L'uomo le tirò ancora un calcio, nel fianco.
"Stronza, stronza, stronza," continuava a ripetere. Col piede prese a tirarle calci su tutto il corpo, mirando bene al fianco e alla testa. Poi si fermò, si abbassò e cominciò a strapparle i vestiti di dosso. La ragazza tentò di ribellarsi, e l'uomo le prese la testa tra le mani e gliela sbatté al suolo.
"Basta, ti prego, così mi ammazzi..." mugugnò la ragazza. Aveva sangue che le usciva dal labbro spaccato e dalla gola. Lo stomaco e il fianco erano percossi da fitte di dolore.
"E non rompermi i coglioni. Che troia... giuro che se non la pianti ti ammazzo davvero. Sono un bastardo, sai? Guardami!" e le prese la testa tra le mani. La costrinse a guardarlo negli occhi, anche se si vedeva poco nel buio che avvolgeva il bosco e gli alberi. L'uomo la fissò per lunghi secondi, gustò lo sguardo terrorizzato di lei. Poi, con la mano destra, cominciò a tempestarle il viso di pugni. La ragazza cercò di pararsi la faccia con le braccia, ma l'uomo continuava a colpire nei punti non protetti. Si alzò, e prese di nuovo a tirare calci sul fianco.
L'uomo si abbassò, prese in mano la testa della ragazza e tornò a fissarla dritta negli occhi. Poi, con un rapido movimento della braccia, le spezzò il collo. Il rumore del collo spezzato gli fece venire un'erezione improvvisa quanto dolorosa. Mollò la presa e si alzò in piedi. Tirò grandi respiri, poi si coprì la faccia con le mani. Continuava a respirare a fondo. Cominciò a camminare avanti e indietro, confuso sul da farsi. Non sapeva se le avesse rotto il collo intenzionalmente o per un raptus. Ma era morta. L'aveva uccisa.
Si tolse le mani dalla faccia e se le osservò. Alla fioca luce della luna poteva vedere il sangue scuro che copriva il palmo delle sue mani. Guardò il cadavere disteso a terra. Aveva i vestiti strappati, era quasi nuda. Poteva vederle i seni piccoli e le gambe nude e sode. L'erezione persisteva e non voleva saperne di calmarsi.
L'uomo sentì la sua mente spinta a qualcosa che non sapeva spiegarsi. Un istinto a cui non riusciva a sottrarsi. Si abbassò la cerniera dei pantaloni. Poi andò a frugare nella borsa della ragazza e tirò fuori un preservativo. Respirava ancora fondo, non riusciva a calmarsi. Le mani cominciarono a tremargli. A fatica riuscì a scartare il preservativo e a srotolarlo. Poi se lo infilò.
Si abbassò sulla ragazza morta e le toccò la testa. Provò a scostarla, a muoverla, e si sorprese di come ciondolasse. Il collo era molle, la testa piegata in un'angolazione innaturale.
L'uomo sfilò via le mutande dal cadavere e si inginocchiò tra le sue gambe. Allargò al massimo le cosce, poi le prese i fianchi martoriati e la sollevò. Dovette fare un po' di fatica per riuscire ad issarla sino all'altezza del suo bacino. Poi la penetrò. Si sorprese del calore che ancora emanava il corpo della ragazza. Avrebbe potuto scambiarla per viva.
Dette colpi deboli all'inizio, poi si fecero via via sempre più forti. L'uomo sentiva dentro di sè una rabbia esplosiva, e continuò a dare colpi sempre più forti, finché venne. Buttò indietro la testa e si lasciò cadere all'indietro. Rimase con la schiena a terra per alcuni minuti, elaborando quel che aveva appena fatto.
Capì che gli era piaciuto, e che lo avrebbe rifatto volentieri. La cosa lo spaventò. Anche per lui non era normale avere rapporti sessuali con un cadavere. Non aveva mai avuto rapporti di necrofilia prima d'ora. Ma la cosa lo aveva soddisfatto. E molto. Si sentiva bene, sfogato di tutto il suo odio. In più era contento di avere violato il corpo di quella prostituta. Si sentiva meglio. Non gli erano mai piaciute le prostitute. Quello, per lui, era anche un ultimo insulto alla vita di quelle donne. Di quelle donne che non lo avevano mai accettato se non per soldi. E anche in quell'occasione lo avevano fatto quasi di controvoglia.
Si alzò e si rimise a posto la cerniera dei pantaloni.
"Te la riporterò indietro tutta intera..." disse ridendo. Poi prese in mano la testa della ragazza e la sbatté violentemente contro un tronco. Sentì il naso che si rompeva. Sorrise. Questo era l'ultimo insulto. Poi pensò all'amica della ragazza. Una testimone. Lo avrebbe potuto riconoscere subito. Uno alto più di due metri non passa inosservato.
L'uomo si voltò e sorrise.

Smaniotto Maxence