Entro nel salone
e con un tocco leggero richiudo la porta: per lei è come il fragore del
tuono. Alza la testa, stremata, e mi fissa con occhi che invocano pietà. Mi
avvicino e controllo le catene fissate intorno alla vita e quelle ai polsi.
Lei ha gettato ogni forza e desiderio di ribellione; sul corpo porta i segni
e le lacerazioni di troppi tentativi andati male.
Le sollevo il mento con la mano e accenno un sorriso senza velleità.
- Presto sarà tutto finito.
Vedo nuove lacrime correre giù e inumidire guance macchiate di sangue
rappreso, e occhi che implorano e pregano perché sia davvero così.
La sua bocca si apre in un gemito sommesso, uno degli ultimi aliti di vita
soffiato fuori con la forza della disperazione. Aspetto impaziente un urlo
che tarda troppo ad arrivare: la sua è una tenacia che non appaga la mia
fame di grida e sofferenza.
- Gli altri sono già stati spazzati via. Eva, tu sei l’ultima. Ti ho scelta
come testimone del mio spettacolo finale, ti ho fatta regina del regno che
stai per lasciare.
Lei continua a guardarmi, inerme, assente, quasi avesse perso ogni interesse
verso quello che le sto sussurrando. Il suo silenzio fatto di piombo inizia
a martellarmi piano, come una musica che sono stanco di ascoltare.
- E la scena culminante sarà il mio indice alzato e la tua testa che
abbandonerà il resto del corpo per rotolare fino ai miei piedi.
L’atto conclusivo, prima di schiacciare un mondo che mi ha annoiato a morte
e a cui non ho più nulla da chiedere. Un mondo che ha coltivato l’insana
ambizione di poter fare a meno di me.
Muovo il dito e il sipario si chiude, un tonfo secco che accolgo come una
liberazione.