La furia di un Dio caduto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

Entro nel salone e con un tocco leggero richiudo la porta: per lei è come il fragore del tuono. Alza la testa, stremata, e mi fissa con occhi che invocano pietà. Mi avvicino e controllo le catene fissate intorno alla vita e quelle ai polsi. Lei ha gettato ogni forza e desiderio di ribellione; sul corpo porta i segni e le lacerazioni di troppi tentativi andati male.
Le sollevo il mento con la mano e accenno un sorriso senza velleità.
- Presto sarà tutto finito.
Vedo nuove lacrime correre giù e inumidire guance macchiate di sangue rappreso, e occhi che implorano e pregano perché sia davvero così.

La sua bocca si apre in un gemito sommesso, uno degli ultimi aliti di vita soffiato fuori con la forza della disperazione. Aspetto impaziente un urlo che tarda troppo ad arrivare: la sua è una tenacia che non appaga la mia fame di grida e sofferenza.
- Gli altri sono già stati spazzati via. Eva, tu sei l’ultima. Ti ho scelta come testimone del mio spettacolo finale, ti ho fatta regina del regno che stai per lasciare.
Lei continua a guardarmi, inerme, assente, quasi avesse perso ogni interesse verso quello che le sto sussurrando. Il suo silenzio fatto di piombo inizia a martellarmi piano, come una musica che sono stanco di ascoltare.
- E la scena culminante sarà il mio indice alzato e la tua testa che abbandonerà il resto del corpo per rotolare fino ai miei piedi.
L’atto conclusivo, prima di schiacciare un mondo che mi ha annoiato a morte e a cui non ho più nulla da chiedere. Un mondo che ha coltivato l’insana ambizione di poter fare a meno di me.
Muovo il dito e il sipario si chiude, un tonfo secco che accolgo come una liberazione.

Diego Cocco