"Profilo di donna" era il titolo di un quadro a tempera che
avevo acquistato anni addietro in un piccolo negozio d'antiquariato. Non si sapeva da chi
fosse stato dipinto e soprattutto non si sapeva cosa mi avesse convinto a comprarlo: forse
la curiosità, forse l'insistenza della mia ex ragazza oppure la semplice voglia di buttar
via un po'di soldi.
Era un'opera semplice, banale, senza nessun valore artistico. Come uno di quei quadri che
si trovano nelle camere dei motel di quart'ordine o nelle sale d'attesa degli studi
medici. Anche la scena rappresentata non era certo delle più originali: una donna dai
lunghi capelli rossi vista di profilo (da qui il titolo dell'opera) che, adagiata su un
sofà, osserva dalla finestra un non ben definito paesaggio.
Collocai il quadro in salotto, tra la libreria in rovere e un gran paralume con il
piedistallo e la trina colorata.
E' restato là per anni, forse cinque o sei, non ricordo... Ha assistito a tante mie
vicende: due impieghi cambiati, un fidanzamento interrotto, serate con gli amici, notti
insonni di solitudine, primavere, estati e poi ancora freddi e piogge... e "lei"
sempre lì, sempre presente con la sua magrezza cadaverica, il volto seminascosto dal
manto rossiccio dei capelli e le labbra sottilissime.
In principio gradivo quell'eterea figura sospesa al muro del salotto: aveva un chè di
casa, di famiglia, di mio.
Ma da un pò di tempo non era più così. Sentivo quell'oggetto come un qualcosa di
freddo, di estraneo... Non è facile da spiegare, credetemi, anche se cercavo di
consolarmi all'idea che quel malessere fosse dovuto soltanto ad un pò di stress
momentaneo.
Una notte non riuscivo a dormire. Stavo male, molto male; non era un male fisico, era un
male d'animo. Sognai cose contorte e tristi che avevano a che fare con gli ultimi
spiacevoli eventi della mia vita. Su tutto prevaleva un gelido senso di vuoto, di
angoscia.
Verso le tre e mezza decisi di alzarmi. Bevvi un pò d'acqua poi mi accesi una sigaretta,
ma ne fumai solo metà. Aprii la finestra e respirai l'aria frizzante di fine marzo, in
cielo c'erano le stelle e la luna piena rischiarava i campi. In lontananza, dietro gli
alberi, si intravedeva il luccichio della città mentre più lontana si stagliava l'oscura
sagoma della vecchia centrale nucleare dismessa. Su tutto un silenzio irreale.
Mi venne voglia di leggere qualcosa così andai in salotto ed accesi il paralume. Fu lì
che notai un particolare del quadro che mi turbò: la bocca di "lei", dietro i
capelli rossi che parevano spettinati, sembrava mutata in una curiosa smorfia, come se
stesse ghignando soddisfatta... Guardai e riguardai attentamente il volto, avvicinai la
lampada al dipinto ed effettivamente realizzai che qualcosa era cambiato!
La mattina dopo, causa la notte bianca, ero uno straccio. Dimenticai un appuntamento di
lavoro importante ed il capo ufficio mi rimproverò rinfacciandomi addirittura l'ultimo
aumento di paga.
Durante il giorno non riuscii a combinare niente, c'era qualcosa che mi opprimeva e che
non mi faceva concentrare. Verso le 18.30, uscito dall'ufficio con l'idea di andare un pò
in palestra, intravidi da lontano Federica, la mia ex fidanzata.
Era in macchina con Christian, un caro amico che non sentivo più da tempo. Fu proprio a
Christian che confidai tutta la mia amarezza quando finì la relazione con Federica e fu
proprio lui che mi aiutò a levarmela dalla testa. Poi di costui non ho saputo più niente
per mesi... Falso, bastardo approfittatore!
Montai in macchina e volli tornare subito a casa. Fui multato per eccesso di velocità, ma
non vi detti troppo peso: mi sentivo deluso, deriso, inutile!... Entrato in casa mi misi
alla ricerca della bottiglia di whisky nella credenza del salotto dando le spalle al
dipinto.
D'un tratto mi balenò nella mente l'immagine trasformata della notte prima! Il nodo alla
gola che già avevo aumentò dandomi un senso di vertigine e, quasi meccanicamente, mi
voltai verso il quadro... La bottiglia mi cadde di mano e per un attimo mi mancò il
respiro: adesso quell'immagine maledetta stava ridendo! Potevo ben distinguere i piccoli
denti aguzzi su quel volto diafano non più nascosto dai capelli.
...
Non rimisi più piede in casa: avevo paura!
Affittai una camera in un albergo di periferia lontano il più possibile da
"lei". Al lavoro le cose andavano sempre peggio, tanto che il capo ufficio
insistette perchè prendessi un periodo di ferie: tanto prima o poi mi avrebbe licenziato,
ne ero ormai sicuro. Quella specie di esilio forzato aumentava il mio senso di solitudine.
Adesso un terrore strisciante rendeva tutto più insopportabile, più insidioso. Con la
memoria cercavo rifugio in qualche caro ricordo, ma era inutile... Dentro mi sentivo come
spento, annientato.
Arrivò l'estate. In giugno persi il lavoro e in luglio cominciai a bere. Furono giorni di
caldo soffocante e gli unici amici che mi facevano compagnia erano le bottiglie di birra e
whisky. Avevo sempre paura e, sia di giorno che di notte, mi chiedevo di COSA avevo
paura... Dovevo reagire, ribellarmi!... Tutta questa storia era grottesca, assurda!
Arrivò anche agosto e fu allora, in una sera afosa, che decisi di tornare a casa mia:
"lei" se ne doveva andare PER SEMPRE!
Attraversai la città semideserta, il caldo si faceva sempre più opprimente. Arrivato sul
pianerottolo avvertii un senso di smarrimento, di repulsione, come se qualcosa volesse
tenermi lontano da quella casa. Mi venne voglia di fuggire ma presi subito dalla tasca una
bottiglietta di brandy che scolai avidamente: fu come una boccata d'ossigeno!
Sollevato, ma sempre teso, aprii la porta ed entrai.
Fui subito assalito da un fetore terribile; quando me ne ero andato non avevo vuotato il
frigo e da mesi il cibo vi era marcito dentro. Il puzzo, il buio ed il caldo che veniva da
fuori rendevano casa mia simile ad una tomba. Sapevo, però, che "lei" era là e
mi stava aspettando!... Dopo mesi l'avrei rivista!
Avevano tagliato la luce e dovetti armeggiare un po'in giro finché non trovai una vecchia
torcia elettrica. Funzionava ancora. L'accesi ed entrai lentamente in salotto. Il cuore mi
batteva forte e, via via che avvicinavo il fascio di luce verso il quadro, il battito
aumentava. Quando la luce biancastra illuminò quel volto, di nuovo il terrore mi ghermì:
adesso quella figura non rideva più, ma guardava verso me con aria di disprezzo, di
disgusto. Le labbra sottili erano sconvolte da una crudele piega e le mani scheletriche
affondavano con ira le unghie nel sofà del dipinto.
Rimasi immobile cercando di trovare la lucidità sufficiente per reagire, ma un dolore
tremendo, fortissimo, come una pugnalata, mi fece crollare a terra senza fiato.
Boccheggiai per un istante poi persi i sensi.
...
Mi svegliai due settimane dopo all'ospedale. Mi avevano ricoverato per
una colica. I medici mi dissero che avevo seri problemi al fegato, sicuramente per
l'alcool. Mi sentivo debole e confuso in quella camera d'ospedale. Spesso ero disturbato
dai lamenti che provenivano dalla stanza accanto, ove una voce roca chiamava ripetutamente
ed ossessivamente il nome di una donna. Nella mia memoria, invece, l'unico pensiero fisso
era quel volto in tutti i suoi inquietanti particolari!
L'ospedale, inoltre, mi angosciava, mi dava un senso di anticamera della morte. Forse
perché nessuno mi era venuto a visitare, né parenti né amici. Ero stato dimenticato da
tutto e da tutti!... Solo "lei" mi stava pensando, magari ridendo di gusto con
quei suoi spaventosi denti appuntiti.
Finalmente fui dimesso dall'ospedale. Stavo meglio, molto meglio ed ero ben determinato a
porre fine a quell'incubo. Erano mesi, ormai, che non avevo più pace... Dovevo
distruggere quel quadro una volta per tutte!
Camminavo svelto verso casa, riflettendo su come agire: dentro me sentivo bruciare una
strana, impetuosa voglia di vendetta. Sudavo ed il cuore mi batteva forte. Mi accorsi di
avere ancora un pò di soldi nel portafoglio, così entrai in un bar a bere qualcosa.
Bevvi due whisky e, mentre bevevo, mi sentivo osservato dal mondo intero. La smania
intanto divenne insopportabile; qualcosa dentro mordeva, si dimenava, mi tormentava
l'anima. Respirai profondamente e mi diressi verso i giardini pubblici. Mi sedetti su una
panchina ad aspettare il buio. Come tutto improvvisamente era cominciato di notte e nel
silenzio così tutto di notte e nel silenzio doveva finire!
...
La porta di casa si aprì scricchiolando. Al mio passaggio
scricchiolava anche il parquet. Il fetore c'era ancora anche se molto meno intenso. Con
ingenua sorpresa, mi accorsi che già molti mobili cominciavano ad essere avvolti da
ragnatele: sembrava una casa abbandonata da mille anni!
Mi ero portato dietro una lampada a batterie molto potente. L'avevo trovata in un
magazzino dell'ospedale, spersa tra lettighe arrugginite e attrezzi di vario genere.
Sempre in ospedale ero riuscito a munirmi di un bisturi affilatissimo. Me l'aveva
procurato un infermiere in cambio del mio Rolex d'oro: poco m'importava dello svantaggioso
baratto, l'importante era che con quell'attrezzo avrei finalmente lacerato, dilaniato
quella dannata tela, simbolo della mia rovina. Soltanto l'idea di distruggere
irrimediabilmente quel quadro mi dava un senso di benessere, di libertà, di piacere.
Arrivai in salotto al buio, brancolando. Posizionai la lampada a terra, puntandola verso
la parete. Adesso il morso della paura ricominciava a tormentarmi. Mi tremavano un pò le
mani ma, dopo un breve indugio, mi decisi ad accendere la lampada: l'immagine di
"lei" mi colpì come un pugno... Quella schifosa si era di nuovo trasformata!
Adesso mi fissava con due spaventosi occhi sgranati e un bieco sorriso gli solcava da
parte a parte la faccia. Sembrava quasi che mi volesse sfidare!
Questa volta trovai tutta la forza di reagire: il furore prevalse sulla paura!
Mi scagliai su "lei" urlando e tenendo il bisturi con entrambe le mani:
finalmente l'incubo stava per finire!
Già vedevo, godendo, il bel falò dove avrei bruciato i brandelli raffiguranti quella
strega! Mi sentivo euforico, potente...
Ma fui riportato duramente alla realtà quando urtai con violenza qualcosa, forse un
mobile o uno sgabello che non avevo notato prima.
Caddi in avanti male, molto male: il bisturi mi sfuggì dalle mani recidendomi la gola di
netto; rimase poi conficcato nella ferita quando rovinai a terra... Ormai era la fine!
L'ingiusta fine!
Sentivo la vita scorrere via insieme al sangue che schizzava dappertutto. La vista mi si
stava annebbiando, presto sarei trapassato. Sentivo ridere sempre più forte, sempre più
forte, ancora più forte...
L'ultima immagine che riuscii a mettere a fuoco fu "lei": adesso il quadro sulla
parete era vuoto e quella puttana, riversa su me, rideva volgarmente con un'espressione di
gioia feroce.