Il carro
funebre arrivò davanti al cimitero verso le tre e mezza e io ero lì da quasi un'ora,
passata fumando una sigaretta dopo l'altra. Durante l'attesa avevo più volte dato uno
sguardo alla foto datami dal capo: una ragazza sui ventiquattro anni, capelli neri, viso
grazioso. Davvero molto carina. Quando arrivò il corteo la immaginai chiusa là dentro,
quella povera ragazza, in quella bara stretta e buia.
Era morta nella sua casa in campagna, dove viveva con la sua famiglia. Il dottor Marchi,
che si occupa delle autopsie per la polizia e che da sempre collabora segretamente con noi
dell'organizzazione, ci aveva avvertito subito, come fa di solito quando un corpo presenta
dei segni sospetti. Qualcuno era tornato a colpire, era da un pò che se ne stavano
tranquilli.
Aspettai che nella camera ardente rimanessero solo i parenti stretti ed entrai in azione.
Feci le condoglianze ai genitori e al fratello della defunta, poi mi presentai come un
ispettore di polizia, mostrando anche il mio falso distintivo. Mi ci volle un bel pò per
convincerli a lasciare che fossi io a fare la veglia notturna al corpo, in attesa della
sepoltura del giorno dopo. Dovetti raccontare che "noi della polizia" avevamo
ragione di credere che vi fosse stato un avvelenamento e che il nostro medico sarebbe
arrivato da un momento all'altro per controllare un paio di cose prima della sepoltura. Se
ne andarono poco convinti, ma non mi interessava, l'importante era che se ne fossero
andati.
Salutai Alberto, il vecchio custode del cimitero, ormai abituato a vedermi lì in giro.
"Non ci vai mai in pensione?", mi chiese. "Non ancora, Alberto, non
ancora." gli risposi sorridendo, mentre mi accendevo un'altra sigaretta. Guardai
dentro la bara aperta: lei era davvero bellissima, peccato. Mi sedetti e guardai il sole.
Mancava ancora un pò e aspettai in silenzio, da solo, a pochi metri dalla bara aperta.
Il tempo passò e calcolai che mancavano solo una quindicina di minuti, quando mi
allontanai un attimo per farmi dare una tazza di caffè da Alberto. Al ritorno mi parve di
vedere qualcuno intrufolarsi nella camera ardente. Guardai il sole. Mancava poco al
tramonto, chiunque fosse quel tizio doveva andarsene subito. Entrai e vidi che si trattava
di un vecchio ricurvo e deforme, brutto da far paura. Non ebbi il tempo di aprire bocca
che il vecchio mi puntò una pistola. "Se ne vada, se non vuole finir male. Il mio
signore sarà qui tra poco." disse. Non capivo di cosa stesse parlando, ma quella
pistola non mi piaceva. Non potevo tirar fuori la mia Magnum e decisi di perder tempo,
ormai mancava poco.
Cercai di spiegare la situazione al vecchio ma ebbi l'impressione che lui ne sapesse più
di me. Ad un tratto cadde il buio e l' unica fonte di luce rimase quella dei ceri posti
attorno alla bara. Il sole era tramontato. Il vecchio sorrise e io mi voltai verso la
bara; mi era sembrato di sentire un gemito proveniente dal suo interno e capii che dovevo
muovermi. Provai a tirar fuori la pistola ma il vecchio sparò e mi intimò di posarla ai
miei piedi. Dovetti obbedire, e iniziai a temere il peggio. La luce tremolante delle
candele rendeva tutto più spettrale e i gemiti divennero sempre più forti, finchè non
vidi la ragazza drizzarsi lentamente sulla schiena. Il vecchio sorrise ancora.
Quando la ragazza fu uscita dalla bara, stette immobile davanti a me, con la testa bassa,
vestita completamente di bianco. Sollevò molto lentamente la testa e la vidi in volto.
Era pallida, e i suoi occhi, ancora chiusi, erano circondati da occhiaie profonde e scure.
D'un tratto aprì gli occhi e mi fissò. Il suo era uno sguardo di odio, di rabbia. Poi
aprì la bocca, mostrando i canini, e avanzò verso di me, mentre il vecchio mi teneva
ancora sotto tiro. Fu una voce che veniva da fuori a fermarla, una voce maschile. Mi
voltai verso l'entrata e vidi apparire un uomo, alto, ben vestito e... pallido. Capii che
era uno di loro. L'uomo abbracciò la ragazza e la baciò. Poi si rivolse a me: "E'
da troppo tempo che aspettiamo questo momento, non ti permetteremo di rovinare tutto,
ammazzavampiri. Ora va, e ti risparmierò infiniti dolori."
Dovevano essere amanti, probabilmente lei si era fatta vampirizzare. Doveva essere così,
una storia d'amore. Ma io non posso farmi prendere da sentimentalismi, il vampiro è un
pericolo per l'uomo e va eliminato. Esitai e vidi un'ombra avvicinarsi alla finestra.
Quando Alberto fece la sua irruzione, lanciandosi sul vecchio e disarmandolo, approfittai
della distrazione per raccogliere la pistola e colpire. Il proiettile d'argento si
conficcò in pieno nel petto del vampiro, che cadde a terra privo di vita, tra le urla
disperate dell'amante, che si gettò in ginocchio accanto al cadavere. Mi avvicinai, avevo
ancora vari colpi in canna. Lei non mi attaccò, ma, piangendo e singhiozzando, mi guardò
e mi chiese di spararle. Era disperata, mi implorava urlandomi di ucciderla. Le puntai la
pistola sul petto, che lei mi porse chiudendo gli occhi, e premetti il grilletto. I due
volti pallidi erano a pochi centimetri di distanza tra loro, sul pavimento. Lei aveva
ancora gli occhi aperti e le lacrime sulle guance. Sembrava che si stessero parlando,
nonostante fossero morti, e rimasi a guardarli.
Il vecchio fuggì e Alberto provò invano a raggiungerlo. Mi accesi un'altra sigaretta e
restai ancora un pò fermo ad osservare i cadaveri. Era una scena commovente. Feci segno
ad Alberto di avvicinarsi. "Che c'è?" mi chiese. "Prendi le pale."
gli risposi "Questi due vanno sepolti. Insieme, nella stessa fossa.". La
professionalità prima di tutto, certo, ma resterò sempre un romantico.
Sono nato il 6 dicembre 1984 e sono da sempre appassionato di punk rock e di tutto ciò che è horror (fumetti, libri, film, giochi ecc.). Suono in una punk band da qualche anno e scrivo racconti da quando avevo tredici anni.