"...sempre più sempre io non sono io/
il mio canto era amore/ il mio canto ora è pianto..."
I Nomadi
Mi aggiro
inquieto. Attendo il momento. Ho parcheggiato la moto sulla strada di accesso, sotto il
grande silo di ferro, da anni arrugginito, che scaricava un tempo il cemento necessario
alla realizzazione di questo posto.
Già. Di questo posto, sia maledetto. Lui e lei. Non ero mai salito quassù, e la volta
che lo feci, conobbi lei.
Bazzicavo, da libero artefice del mio destino, i boscosi meandri di una allora verde
provincia, a parecchi chilometri dalla Città. In riva ai salubri laghetti della zona
sorgevano semplici e simpatici luoghi di ritrovo: tettoie, poco più, ridicole palafitte
che sostenevano piattaforme in legno sospese sulle acque dei laghi. Nella penombra e con
la complicità della penombra circostante, noi si ballava, si cenava, nella completa
alienazione da città che già odiavamo. Un frittura di pesce, pescato dal vicino fiume o
dagli stessi laghetti, un pò di bianco della casa, dell'acqua frizzante, una musica
intrigante e... e combinavamo.
Un riscatto, gradito e rilassante, dalla pesante vita di fabbrica, giù alla G.O.M. Per
noi, era tanto. Con le Fiat 850, coi Morini 350, con le "500", ci inoltravamo
fino a qui, a goderci le paghe crescenti, il tempo libero che a morsi strappavamo ai
rapaci gestori della grande officina che dal lunedì al venerdì ci ingoiava come insetti.
Che vuoi, quando hai vent'anni nel 1970, il mondo è tuo. E' tuo nel modo più totale. Il
Padrone pian piano non potrà più nulla nei tuoi confronti. Il Mondo, neppure: nessuno ti
dice cosa devi o non devi fare. Genitori beceri, parroci vecchi e tremanti che nulla
possono contro il nuovo... fatevi da parte. Il rombo del motore è forte, forte è il
battito del cuore, forte è l'Amore... Voi non lo potete conoscere, quell'Amore, vecchi
barbogi. Fateci largo, noi lo sappiamo cos'è. Altro che le povere "Mariarosa"
che entravano nel letto con la sottana, sicure di non "farlo per amor mio ma per dare
un figlio a Dio"...
... No!.. .noi siamo diversi. Via il vecchiume, via tutto. Trasformiamo oscuri antri delle
vecchie cascine in ritrovi, in "locali", che ai vecchi puzzano di eretico. Le
nostre moto violano la quiete agreste dei vostri campi, ma noi li amiamo ugualmente: ma
non più come fonte di reddito, bensì come ritorno a quella natura cui voi, vecchi miopi
e guardinghi, ci avete costretto a voltare le spalle in nome del "posto di
lavoro". Sì, avete ragione, ma laggiù, in Città, è un inferno. Schiere di
casermoni, cui non siamo abituati. E voi meno di noi: eppure siete voi, vecchie canaglie,
ad averci instillato il germe del "posto sicuro" e della "casa
decente"... ohh, sì, come la desideriamo, una casa decente, al posto della vecchia
cascina senza acqua né luce, al posto dei muri umidi e freddi nelle gelide albe invernali
quando c'è da fare sempre qualcosa anche se i campi dormono sotto la neve...
... ma laggiù i campi dormono, e c'è la quiete. E voi non l'amate: e quest'odio volevate
trasmetterlo a noi. Voi odiate tutto, e odiate innanzi tutto la natura, nella quale
faticate ogni giorno. Quest'odio per la natura, che voi avete deprecata fin da piccoli. Ma
noi, liberati dalla vostra ignoranza, la Natura l'amiamo. Un domani costruiremo un mondo
che ama la Natura, non quello che voi ci avete costretti ad accettare.
Un mondo d'Amore.
Un mondo di musica, d'amore, di sogno.
Quello che voi, vecchi ed incattiviti, odiate d'istinto, amici come siete del cemento, dei
soldi, dell'affare a portata di mano. Vecchi e cattivi, vedete solo i soldi, le occasioni
per speculare, per svendere. Vecchi e materialisti, per voi vale più un bagno con
specchiera che un intero fiorente bosco. E noi, di rimando, in quei locali dove pian piano
voi non mettete più gli attrezzi agricoli che man mano dismettete, fondiamo quei
"ricettacoli del vizio" che il parroco tanto condanna. Fatti suoi: noi amiamo,
corriamo nel vento con le moto, ascoltiamo la nostra musica: e ce ne freghiamo del
"valore dei soldi". Ci vorreste arrivisti, affaristi, attaccati alla pecunia:
invece noi di questo vostro "sviluppo" vediamo solo ciò che ci fa comodo; voi
ce lo avete insegnato, che il proprio comodo è il primo Comandamento, no?
Motociclette, giubboni di pelle. I Nomadi, i Beatles, i Dik Dik e le Orme. I complessi
americani, Bob Dylan che canta "how many times must the cannonball fly". Noi
siamo diversi. Noi amiamo. Le nostre donne sono diverse: belle, dolci, passionali,
innamorate, giovani, fresche, pulite.
Musica, e donne.
Noi dilaviamo lo stipendio, il vostro Dio, in dischi, benzina e olio per le moto, in jeans
che voi aborrite, in pomeriggi al bar e in serate nelle balere in riva ai laghetti. Noi
viviamo, voi morite.
Noi no, non non moriremo. Mai!
No... noi non moriremo... no, noi non possiamo morire!
Noi dobbiamo amare. Non possiamo morire: muoiono solo i vecchi, gli stentati che
barcollano fra le panchine ed il vecchio cadente bar in piazza, ubriachi di grappini e
soffocati dai sigari, muoiono le vecchiette, le pendolari fra chiesa e casa, sempre
avvolte in neri luttuosi panni. No, noi saremo eterni: siamo giovani, belli, e amiamo!
Non è cemento, non è speculazione: non per tutti. Insomma, se si fanno condomini e
capannoni industriali, concessionarie auto e ville signorili, non si vede perchè il
Minareto debba essere un tabù. Certo, sarà, come dicono certi, una speculazione
capitalistica, ma è un tempio a ciò che amiamo: musica, amore, svago.
C'erano solo le solite cascine dei vecchi beceri: quelli capaci di dire solo "alzati
presto e lavora". Bovari ignoranti, attaccati a morte tradizioni. Finalmente una
speculazione "indovinata", se indovinata lo potrà mai essere...
Giù le vecchie cascine, ormai quasi spopolate. Via i vecchi barbogi, via polli e mucche,
che puzzano... vaffanculo!
Musica, ragazze. Ogni domenica pomeriggio una festa. Le moto rombano sui tornanti,
attraversando le placide frazioni, che pure diciamo di amare... ma Dio solo sa cosa noi si
ami davvero, forse solo noi stessi!... noi stessi, la nostra vita, i nostri amori!
Un parco dei divertimenti, non una cosa esagerata all'americana - quelli che opprimono il
Viet Nam, maledette canaglie, per fortuna le prendono di santa ragione! - ma un piccolo
paradiso nel verde della montagna. Un belvedere dà sul fiume, un incredibile edificio, il
Minareto, ospita bar e ristoranti,qualche boutique e, accanto ad esso, al posto delle
sudice cascine, un altrettanto incredibile "parco", in stile orientale, con una
meravigliosa fontana acquatica, una balera all'aperto come a Rimini, una piazza racchiusa
fra portali degni di un Tempio giapponese.
Un piccolo paradiso, perso fra i boschi. Un piccolo paradiso dedicato alla musica, nostra
Musa, e all'Amore, ovviamente. Ed è lì che conobbi Lei. Facevamo come al solito gli
sciocchi, nella maniera che allora poteva apparire tollerabile, lanciando frizzi alle
ragazze, quando scavalcando il ponticello giapponese sul piccolo rio, incrociai Lei.
Cosa successe non so. L'età, il momento, un'epoca. La nostra è stata un'epoca, altro
che. Ragazze meravigliose, timide e passionali allo stesso tempo...
Ero nella Balera, un anfiteatro in mattoni e lamiera, in parte coperto da tettoie
multicolori... ballavamo... suonavano i Nomadi:
"....ti baciava le labbra ed io di rabbia morivo giaaaaà....!"
... ed io d'amore morivo. Le luci fioche - c'era più gusto, allora... - ci illuminavano
discretamente, i suoi capelli emanavano un profumo delizioso. Raccolti sulla nuca,
ricadevano sulle spalle, sul vestito scollato e sbracciato, corto alle ginocchia. I suoi
occhi brillavano, promessa di amore...
"... che sapore c'è... perdonare teeee... di avermi insegnato cosa è il
dolor..."
Già... il dolore.
Avevo preso a fare su e giù dal Passo. Dalla Città al Minareto, tutti i sabati sera e le
domeniche pomeriggio. No... "non c'è stata primavera insieme a te..." come
cantano disperati i Nomadi... mi lasciò lei, sempre secondo il tragico testo della
canzone...
"... di avermi insegnato cosa è il dolor..."
"... che sapore c'è... ritornar con te...".
E io ritorno. Ritorno da sempre. Da trent'anni io ritorno e aspetto.
Aspetto di perdonare ed esser perdonato... attendo di poter fare, e avere, ciò che allora
non feci, nè ebbi. Attendo, nel buio e nel silenzio, nel dolore...
"... il dolor, che non può scomparir..."
Ogni sera aspetto il Tuo perdono. Nel buio, fra edifici in rovina. Nel buio, nel silenzio:
perchè qui ora tutto è silenzio. Ma io non mi formalizzo, anzi... preferisco la
solitudine... per gli appuntamenti è il meglio!
Miei compagni abituali, il vento e l'abbandono, l'ombra e l'oscurità fra serrande
arrugginite e scardinate... smonto dalla moto e mi aggiro, lieve e silenzioso io stesso,
diafano e trasparente come questo posto. Mi aggiro nelle sale un tempo gaiamente e
variamente illuminate, guardo le tempere multicolori che si scrostano in un tripudio di
muffe, in un crollo di scaglie polverose. Ma i miei piedi non fanno rumore sui detriti che
coprono i pavimenti in marmetto, sul quale un giorno lontano si rifletteva la luce del
sole, lo splendere delle lampade...
Mi aggiro, cupo rimorso, fra spettri metallici rugginosi: la balera, con lo scheletro di
ferro messo a nudo, come un improbabile organismo mineralizzato. Muri sfasciati, porte
divelte finanche nel telaio. Ma io odo ancora le musiche. Le risa, vedo le luci...
Silenzio. Il rumore lontano del vento e qualche ranocchio, laggiù nel nero pozzo melmoso
della fontana monumentale, grande e profonda. Il suo obelisco di cemento e marmi policromi
sfida ancora il cielo, come il Minareto. Ma è la sfida di un guerriero vecchio e sfatto.
Le canne si levano come mani di dannati che cerchino di ghermirlo, dal profondo, da quel
pozzo oscuro un tempo illuminato da fari colorati...
Quando l'ombra cade, io appaio.
Quando il Tempo acquista un senso, appaio io...
No,... non arrivo, io appaio. Dal nulla, appaio. Se c'è la nebbia, quando fa buio, io
appaio. I vecchi che vivono nel superstite edificio, adibito a loro ultimo ricovero prima
dell'inevitabile, abbassano le tapparelle e si segnano. Gli altri pochi residenti forse
sono felici che io venga: tengo lontani gli scalmanati che nottetempo potrebbero
disturbare il loro legittimo riposo.
Il riposo dei giusti. Il riposo dei vivi.
"...Oggi c'è, che non l'ho... mi lasciò lei...".
Io arrivo, io appaio. Appaio sulla mia moto, appaio e aspetto. Null'altro. Ma loro mi
temono.
E io aspetto: sono condannato ad aspettare... ad aspettare chi non può più venire a
nessun appuntamento.
Aspetto chi scelsi di giudicare attraverso la canna di una pistola...
Aspetto, e soffro... e piango.
Lo so, è il mio pianto che vi fa paura... ma è solo un suono... ed io sono solo
"... un pugno di sabbia..."...
Un pugno di sabbia... un pugno di cenere. Pochi metri di fuga, un pugno di sabbia sotto le
ruote, la moto che scarta... gli occhi sbarrati di decine di persone... tre corpi al
suolo...
Noi no, noi non moriremo. Mai...
... perchè dobbiamo amare. Perchè dobbiamo capire che cos'è il dolore...
Ogni giorno, l'ombra del Minareto si staglia sull'asfalto. Copre scuri aloni sull'asfalto.
Ogni sera, i visitatori di quel luogo avvertono un brivido di freddo, e se ne vanno.
Cala il silenzio...
Ogni sera, io ritorno. Quando il sole scende, quando la sera arriva...
"... non c'è stata primavera insieme a te, dal momento che il sole non era più...
con me...!"