Faust Maria
Valdes era pratico di lettura chiromantica. La sua breve, pallida, sottile linea della
vita rassomigliava al corso dellEbro, che dalla Cordigliera Cantabrica ai piedi del
monte di Giove, invece di muoversi fino alla grande foce a delta di Capo de Tortosa per
immettersi nel Mar Mediterraneo, si perdeva presto nella calda e secca Navarra a sud di
Pamplona, più o meno a Calahorra. Le linee dei polsi che configurano la cosiddetta
rascetta confermavano ineluttabilmente una vita di scarsa durata temporale, non oltre i 28
anni. Per tutti gli inquieti che si interrogano è credenza che il nostro destino cambi
ogni sette anni, perché ogni sette anni luniverso intero si riprende in esame e si
rinnova.
Il ventottesimo genetliaco di Faust Maria Valdes non era stato festeggiato quel giorno;
solo un collega della cartiera, quello addetto alla centrale di dosaggio, gli aveva
augurato il buon compleanno, appena udito nel frastuono degli spappolatori idrodinamici.
Un bravuomo, quellAntonio De Andrea; alla fine del turno gli aveva offerto
sangria ghiacciata al bar. Dieci minuti interminabilmente trascorsi da Valdes più a
rimestare e a fissare gli occhi sui pezzi di frutta in infusione che non a parlare.
La notte cadeva su Saragoza.
Da casa sua si scorgevano ancora i vertici delle quattro
torri gotiche di Nuestra Senora del Pilar. Faust Maria Valdes rientrò dal balcone,
sprofondò nella poltrona-letto e accese la lampada a stelo accanto, orientando la
sorgente di luce alogena piena e fluida sulle mani. Aveva già sfilato da più di
unora lorologio da polso di acciaio, e cosparso un velo di albume ormai
disseccatosi sul palmo della mano sinistra, cancellando i falsi segni e ingrandendo
come una lente quelli parlanti. Per lennesima volta Faust Maria Valdes fece una
lettura sottile della sua mano. Infine, sempre quei ventotto anni!
Avendo i demoni in orrore lui così cattolico volle per prima cosa stipulare
il suo patto, ma con Dio. Tuttal più non sarebbe capitato proprio nulla.
Erano circa le 24 quando si munì di carta pergamenata e penna a cannetta. Sedette al
tavolo, appoggiò lavambraccio e su un fazzoletto di lino ben spiegato la sua mano
distesa rivolse col palmo verso il cielo della stanza. Con la mano destra strinse fra il
pollice e lindice una lametta da barba a due tagli: cominciò a incidere con calma
la cute dal punto esatto in cui la linea della vita risultava interrotta, passando attorno
al monte di Venere, arrotondando il segno lungo il centro della superficie palmare e giù
ancora fin verso il polso. Aveva ridisegnato la sua esistenza di mai avuta grande
vitalità, di mai avuto calore negli affetti, di mai irradiata simpatia fino alla
veneranda età di centanni almeno.
Il sangue usciva e Faust Maria Valdes vi intinse molte volte il pennino; così andò
stilando il suo patto a dir poco insolito.
lo, Faust Maria Valdes, con codesto patto mi dichiaro impegnato a essere servo di
Dio e in capo a 75 anni da oggi ad appartenergli nel corpo e nellanima in cambio di
una lunga vita ricca di soddisfazioni buonissime. Finito che ebbe di scrivere,
mentre tamponava la ferita con falde di ovatta e acqua ossigenata, Faust si avvide che le
linee del polso relativo, rimaste quelle brevi, evanescenti e frammentarie di prima,
avrebbero dovuto subire senzaltro la stessa correzione apportata a miglioria della
vita per non creare la giustificabile occasione di fatali incidenti. Avuta
lintuizione, riprese fra le dita la lametta, indirizzò una leggera dieresi nel
tessuto epidermico in corrispondenza delle tre linee del polso sinistro per riattingervi
il pennino e riscriversi più certo il patto con Dio. Ma fu lungo la terza linea del polso
che, col commutatore dimenticato al massimo volume, vivace squillò la suoneria del
telefono e pesante per lo spavento gli scappò la mano destra. Il sangue sgorgò a fiotti.
Faust Maria Valdes cadde svenuto dalla forte emozione di raccapriccio e dal dolore
improvviso e violento. Non riprese mai più coscienza. Nel giro di pochi minuti morì
svenato.