Arriviamo che il
ragazzo è ancora vivo. Rantola in braccio alla madre. Sembrano la Pietà di
Michelangelo in versione metropolitana, è passato un graffitaro isterico e
li ha cosparsi di vernice rossa a secchiate. Lei vorrebbe cento mani per
tappare ogni ferita, poi i soccorsi... muore in ospedale. A 17 anni, Dio.
In casa, in quel momento, solo loro.
La stanza... Cos’avrei dato per un tagliacarte schifoso, un coltello, una
lama qualsiasi per inchiodare chiunque.
Nulla.
Solo un’orrenda voragine nel materasso. Un’immonda bocca sdentata. Ghignante
come il sorrisetto di un jolly psicopatico. Lo squarcio come l’orlo di un
precipizio.
Intorno, sangue. Una scia fino alla porta. Unghiate, dirà l’autopsia. Né
coltellate, né tagli. Conciato come dopo una lotta coi leoni del circo.
Raccatto tutto il possibile e spunta un diario... Insolito per un maschio,
ma la madre ci dirà poi che era il primo della classe. Amava scrivere.
Dunque, 6 aprile:
“Continuo a sognare quella cosa, mi sento seguito, mi volto: niente. Vado
ancora avanti, mi rigiro: la Bestia è spuntata fuori, mi insegue...”
Poi, 10 aprile:
“Ancora, stanotte. La Bestia mi incalza, io scappo, ma le gambe si fanno
pesanti... Stavolta non ce la faccio, penso. Ecco, mi ha preso, mi è
sopra... Mi salva all’ultimo momento il suono della sveglia.”
E il 20, sera prima della morte:
“Sento che la Bestia diventa sempre più forte, io sempre più debole. Sono
stanco. Per quanto ancora riuscirò a sfuggirle? Ho paura.”
Sfoglio queste pagine per l’ennesima volta, i genitori
sono qui. Chiamati da me, qualcosa deve saltare fuori. Esordisco: “Tutto,
signori. Voglio sapere tutto. Quella mattina, la sera prima, i giorni
precedenti, il mese scorso. Tutto, tutto, tutto... “. Brusco: al solito. Più
di quanto vorrei, o serva. Lei smarrita, flebile: “Ma Commissario, ho già
detto... cos’altro... proprio un giorno qualunque. Stavo per chiamarlo a
colazione, va via la luce. Vado verso la sua stanza, un... trambusto... urla
disumane... Mentre apro la porta, la luce torna. C’era Carlo. Aggrappato
alla maniglia. Mio figlio che strisciava in un mare di sangue...“.
La voce si frammenta in una catena di singhiozzi, la donna sussulta sulla
sedia, preme la bocca contro un fazzoletto. No, accidenti. Non farmi sentire
come se te l’avessi ammazzato io! Continuo guardando il padre, stavolta. Si
torce le mani senza posa.
“Sì. Ora. Noi siamo lì alle 7.40. Tardi per... alle superiori cominciano
alle 8, no?” Finalmente, agghiacciante, inconsapevole, parla lui. “Lunedì
c’era assemblea, Commissario, saltavano la prima ora. Carlo voleva alzarsi a
ripassare. Però era così affaticato, ultimamente. Domenica sera punto la
sveglia, l’ho messa più tardi perché... dormire un po’ di più gli farà bene,
mi son detto. Senza avvisarlo: Carlo se la sarebbe presa, ci tiene a essere
pronto per ogni interrogazione. Senta ma tutto questo... cosa c’entra?
Insomma vogliamo capire... Ma che è successo a nostro figlio?”
Cosa potevo rispondere? Aprile è davvero il mese più crudele.