Mi
trovo in un'immensa campagna verde, il sole splende su ogni cosa colpisca l'occhio fino
all'orizzonte, gli alberi mi cantano straordinarie canzoni, gli uccelli si posano su di
me, cinguettando ed accompagnando gli alberi con il loro canto. Tutto splende in questo
posto. Non ho nemmeno la premura di chiedermi dove mi trovo, quando sono arrivata e come.
La bellezza della natura mi abbaglia a tal punto che tutto il resto è superfluo. Il
dolore, la paura, la tristezza e la rabbia sono sentimenti di cui non ho alcuna cognizione
e non ricordo neppure di averne mai avuta.
Mi avvicino ad uno stagno di acqua limpida e cristallina, mi inginocchio e mi specchio. Il
mio riflesso attorno alle ninfee mi fa accorgere di avere in testa una corona di fiori di
cui non mi ero accorta. Non c'è turbamento nell'infinita perfezione di questo luogo.
Tutto è così bello quaggiù che mi accorgo solo in ritardo di un leggero dolore alla
gamba, come una puntura, che però si fa sempre più forte. Guardo e vedo che dal suolo è
uscito un tentacolo, come lo stelo di una rosa, ma molto più mobile, spinoso e spesso,
che mi stringe la gamba e ne dilania le carni con le spine affilate.
Cerco con tutte le mie forze di strappare quel tentacolo, ma improvvisamente arriva uno
stormo di uccelli che cominciano a beccare sulle mie mani e poi su tutto il resto del mio
corpo. Cado sulla schiena e dal suolo escono decine di altri tentacoli spinosi che mi
avvinghiano le braccia e le gambe, tagliandomi con le loro spine ed impedendomi di potermi
difendere dalle beccate degli uccelli.
L'immensa gioia che provavo prima si è improvvisamente trasformata in dolore. I tentacoli
stringono sempre di più e strisciano sulla mia pelle lacerando dove possono. Grido, ma
nessuno accorre. Non c'è nessuno in quel luogo, a parte me e la natura che mi sta
lentamente uccidendo. Ad un certo punto gli uccelli volano via e i tentacoli smettono di
lacerarmi, pur mantenendomi immobilizzata. Lentamente mi portano in posizione quasi
eretta, permettendomi di guardare lo stagno. Sento il mio sangue gocciolare fuori delle
ferite, mentre alcuni aculei, pur non movendosi più, sono rimasti conficcati nelle carni,
dandomi ancora dolore.
All'improvviso, vedo il pelo dell'acqua dello stagno sporgere verso l'alto, come a formare
una specie di bolla in continua espansione, ma la cui forma diventa gradualmente più
irregolare. Dopo qualche secondo la bolla diventa gigantesca, grande quanto una persona e
le sue irregolarità cominciano a formare una sagoma ben precisa, una figura di donna, che
gradualmente va somigliando a me. Ultimata la trasformazione, in un lampo la bolla
abbandona la sua forma liquida e si trasforma in qualcosa di corporeo, solido, con colore
e opacità; si trasforma in me. Un mio clone si è appena formato dall'acqua dello stagno
e mi somiglia anche nei più insignificanti dettagli. Io, stupita, provo a parlare, ma la
paura mi trattiene in gola le parole. L'essere si avvicina a me e lentamente estrae un
coltello da sotto la sua veste rosa come la mia. Io sono terrorizzata e i tentacoli aprono
a forza la mia mano sinistra rivolgendone il palmo verso la donna. Lei avvicina la lama
del coltello alla mia mano e mi dice: "Ricordati che anche la luce nasconde ombre
sottili, pronte a farti a pezzi con mille lame e a stritolarti con tentacoli fortissimi,
mentre mille uccelli ti beccano la faccia con i loro becchi affilati e appuntiti".
Detto questo, mi squarcia il palmo della mano con un colpo netto. Io emetto un grido
fortissimo e chiudo gli occhi per il dolore. Appena li riapro vedo il soffitto della mia
camera. Quel prato è scomparso e la donna pure; il mio cuore batte forte, sudo freddo, ma
non sento più alcun dolore. Sono sdraiata sul mio letto, nella mia stanza, nella mia
casa, nel mondo reale. Appena comincio a riacquistare le mie capacità mentali,
istintivamente mi tocco il viso e le braccia, alla ricerca dei tagli e delle ferite che mi
erano state inflitte, ma con mia sorpresa non trovo nulla. Passano pochi secondi, durante
i quali provo a dare una spiegazione razionale a quanto è successo, fino a quando mi
rendo conto di aver sognato. Rallegrata dalla scoperta tiro un sospiro di sollievo e mi
reggo la fronte con una mano, la sinistra, per essere precisi. È in quel momento che
sulla fronte sento una certa umidità, come se oltre al sudore ci fosse qualcos'altro di
liquido. Guardo la mano e noto che la ferita infertami dalla donna del sogno non è
sparita; è ancora lì, sanguinante. Non è abbastanza profonda da recidere nervi o
muscoli, ma abbastanza da recidere qualche vaso sanguigno. La ferita è perpendicolare
alla linea delle dita ed è sottile, esattamente come nel mio sogno. Anche se non sono un
medico, non mi ci vuole molto per capire che l'entità del taglio non necessita dei punti
di sutura. Mi alzo, vado in bagno a disinfettarmi la ferita e mi sciacquo la faccia dal
sangue che l'ha macchiata. Mentre mi fascio la mano, mi vengono improvvisamente alla mente
le parole del clone che ho sognato. Forse era un monito, un monito del mio inconscio che
mi mette in guardia. Forse ho sognato qualcosa che il mio cervello ha voluto sognare, un
avvertimento a stare all'erta e non fidarsi di niente e di nessuno, neanche della realtà
più palese. Forse è vero che nella luce si possono nascondere delle ombre e che ci
accorgiamo di loro solo quando è troppo tardi. Ma allora come ha fatto il taglio a
trasferirsi dal sogno alla realtà? Forse anche il sogno è un'ombra che giudichiamo
differente dalla realtà ma che, in certi casi, la sfiora. E il modo in cui il sogno ogni
tanto tocca la realtà è uno dei tanti misteri che non riusciremo mai a capire.