L'amico dei ricordi

Oggi il tempo è scivolato via con una lentezza insopportabile. Mi sono aggirato per casa, a luci spente, mentre la consapevolezza di essere rimasto solo affondava nella mia mente così dolorosamente da lasciarmi senza forze. Ho guardato svogliatamente la televisione, saltando da un canale all'altro, il cucchiaio abbandonato nella minestrina fumante, la mela sbucciata e lasciata lì, sulla tovaglia, come una natura morta. Quando ho avvertito la nausea avvolgermi in spire concentriche, ho raggiunto a fatica la camera da letto e mi sono sdraiato così, vestito, avvolgendomi nel lenzuolo, come un bambino. Da lì, gli occhiali caduti di sghimbescio sul naso, fissavo le cornici allineate sul piano di marmo del comò. Io e Diana al parco. Lei seduta sul divano. Io che la tengo sulle ginocchia e l'accarezzo. Ho chiuso gli occhi e li ho riaperti di scatto. Forse è solo un sogno, non è morta, ha fatto solo finta, adesso verrà a stendersi accanto a me e mi assopirò al tepore del suo corpo. Ho mormorato il suo nome, a fil di labbra, più volte, come una cantilena, ma non è servito a nulla. Lei non si è affacciata timidamente sulla soglia della camera da letto, come faceva di solito. Diana è morta tre giorni fa, di sera, investita da un'automobile che non si è fermata sulle strisce pedonali: mi ha evitato per miracolo ma ha preso lei in pieno. E quel delinquente non si è nemmeno fermato. Chissà, forse era ubriaco.
Quando mi sono alzato dal letto era già buio. Ho di nuovo dimenticato di prendere il mio cardiotonico, malgrado le raccomandazioni del medico ed i fogliettini di promemoria che ho seminato per casa. Scrollando il capo, ho afferrato la boccetta e lasciato cadere nel bicchiere le gocce, contandole una per una, attento a non sbagliare, perché una dose eccessiva potrebbe essere fatale anche per un cuore più giovane e sano del mio. Ma sì, in fondo, se mi addormentassi per sempre non sarebbe un gran danno, sono vecchio, e anche solo, adesso che Diana se n'è andata per sempre. Soffocando un singhiozzo, ho posato la boccetta sul comodino e vuotato d'un sorso il bicchiere, disgustato dal suo sapore amarognolo.
Sono così immerso nei miei pensieri da non accorgermi del suono insistente del campanello di casa. Sospirando, mi alzo ed i miei occhi incrociano quelli grandi ed intelligenti di Diana che mi fissano da una foto. Il campanello trilla per l'ennesima volta, mentre giro la chiave e faccio scorrere il passante. Sulla soglia, un uomo sulla quarantina, le mani affondate nelle tasche dell'impermeabile, i capelli biondi e gli occhiali con la montatura di tartaruga. Lo guardo senza interesse, aggrottando la fronte, perché mi sembra una figura familiare ma non riesco a dargli un nome. Forse è il figlio di qualche vicino di casa.
-Buona sera, signor Casalini. Mi scusi se la disturbo a quest'ora- quella voce acuta e nervosa, quell'inflessione veneta, dove l'ho già sentita? Scrollo il capo e lo faccio accomodare, poi lo osservo meglio, alla luce del lampadario, la fronte aggrottata nello sforzo di ricordare chi sia. Il mio visitatore pare essersi dimenticato di me, il suo sguardo corre veloce dall'ingresso al corridoio, sembra calcolare mentalmente, con la velocità di un calcolatore elettronico, le dimensioni dell'appartamento, il numero delle stanze, l'entità dei lavori di ristrutturazione che saranno necessari.

-Permetta che mi presenti- si è voltato lentamente verso di me e solo adesso ha tolto dalla tasca dell'impermeabile una mano che mi porge senza entusiasmo. -Sono Gianni De Grimani.
-L'amico dei ricordi- annuisco con il capo. Adesso capisco perché mi era in qualche modo familiare. E' il presentatore della trasmissione del momento, quella che ogni pomeriggio ripropone personaggi ormai dimenticati del mondo dello spettacolo, spezzoni in bianco e nero di una televisione che non esiste più, se non nei ricordi di quelli della mia generazione. Noi siamo il suo pubblico affezionato, lui è il nostro amico. L'amico dei ricordi. -Mi scusi lei- borbotto- se non l'avevo riconosciuta subito.
-Che bella casa che ha- senza replicare, l'uomo si è avviato lungo il corridoio, sbirciando le stanze. -Grande, spaziosa, con questi magnifici soffitti- ha alzato la testa verso l'alto, sorridendo. Si ferma sulla soglia del salotto, infila nuovamente le mani in tasca e si volta verso di me. -Una casa d'altri tempi. Mantenerla così bene deve essere molto costoso.
-Le risparmio il solito piagnisteo delle persone della mia età, quelle lamentele sulla pensione che non basta, del costo della vita che aumenta e così via- adesso sono io a sorridere. -E' vero, questa casa è impegnativa, ma io le sono affezionato. A proposito, a cosa devo l'onore della sua visita? Intervista a domicilio gli spettatori della mia età perché non si fida delle percentuali di ascolto?
Imprevedibilmente, Gianni De Grimani scoppia a ridere, e sembra davvero divertito. Agita un dito verso di me:
-Ma lo sa che lei è davvero spiritoso? La vorrei ospite nella mia trasmissione. Chissà quante cose interessanti avrebbe da raccontare- batte le mani, soddisfatto e mi fissa con un sorrisetto complice così irritante che devo distogliere lo sguardo. -Posso accomodarmi? -indica il divano del salotto con un cenno del mento.
-La prego, sono davvero imperdonabile- sconcertato ed incuriosito, lo seguo e mi lascio cadere sulla poltrona preferita da Diana, soffocando un sospiro.
-Veniamo al sodo, signor Casalini, sono qui per motivi personali: per essere precisi, sono intenzionato ad acquistare il suo appartamento, e non intendo farne una questione di prezzo- ha accavallato le gambe con un movimento fluido, che pare quello di un ballerino.
-Mi coglie alla sprovvista- mormoro perplesso. -Le interessa una casa che sta vedendo ora per la prima volta? -mi stropiccio gli occhi, che sento bruciare come se avessi la febbre.
-Guardi, è molto semplice: questo quartiere sta vivendo un vero boom, le agenzie immobiliari farebbero follie per accaparrarsi case come la sua, grandi, solide, ariose- si guarda attorno, compiaciuto. -Forse troppo grandi, per persone anziane come lei. Che vive qui da solo, vero?
-Adesso sì- rispondo di scatto, asciutto.
-Mi scusi, forse sono stata indelicato- accavalla di nuovo le gambe, mentre si passa distrattamente una mano sui capelli biondi. Sembra annoiato.
Adesso glielo dico, penso. Adesso gli dico che cosa mi è successo. Ho perso Diana, tre giorni fa, perché un delinquente, che non ha rispettato le strisce pedonali, me l'ha investita in pieno. E io sono vivo per miracolo. Inghiotto saliva secca e dolore. Anzi, no, non riesco a trovare le parole giuste: non è semplice spiegare quello che provo, e non voglio essere frainteso.
-Insomma, come le dicevo, le case di questo quartiere, anzi di questa zona mi piacciono molto. E in particolare questa via- l'amico dei ricordi ha gettato uno sguardo furtivo all'orologio d'oro che spunta sotto il polsino della camicia. -Ho deciso di fare tutto da me, niente agenzie o intermediari, e non ho sguinzagliato nessuno dei miei collaboratori. Da qualche tempo, vengo qui, la sera, e giro in macchina, studiando le palazzine, le facciate, l'orientamento. Poi faccio il resto con la fantasia, immaginando gli interni- inarco un sopracciglio, sconcertato. Lui intuisce la mia perplessità.
-Intendo dire che non mi interessa come siano gli appartamenti, in quale stato o con quale disposizione delle stanze, penso a come vorrei il mio. Come lo trasformerei.
-Capisco, ma, vede, mi ha davvero preso alla sprovvista. Insomma, un divo della televisione suona alla mia porta e si offre di acquistare la mia casa. Dovrei pensare che sia una specie di candid camera.
-Non dica altro, signor Casalini. Mi creda, -allunga una mano e mi stringe un braccio, lasciandolo dopo qualche istante- voglio davvero questo appartamento. Mercanteggiare mi ripugna, e non lo farei mai con un signore come lei, ma non intendo badare a spese. In altre parole, stabilisca lei il prezzo. Ragionevole, beninteso.
Sto per replicare, cercando di essere cortese e fermo al tempo stesso, quando lui si batte il palmo della mano sulla fronte, come si fosse ricordato un particolare importante che aveva sbadatamente omesso.
-Questa casa ha un garage, vero?
-Sì, certo, -rispondo d'istinto -ma io lo uso come ripostiglio. Ormai è qualche anno che non guido più.
-Ah, meno male. Vede, io ho un'auto di un certo valore e non voglio né lasciarla fuori, in balìa dei ladri, né in un garage pubblico, dove finirebbero per rigarmi la carrozzeria.
-E' comprensibile- sento freddo, improvvisamente, malgrado i termosifoni siano in funzione da ore.
-La mia auto è di un particolare colore metallizzato, molto raro, la più piccola ammaccatura richiede una manutenzione lunga e costosa. Anzi, questo mi fa pensare che devo portarla di nuovo dal carrozziere- sospira contrariato, le labbra sottili piegate all'ingiù in una smorfia di fastidio. -Qualche sera fa, mentre giravo qua attorno... Come le ho detto, studio i palazzi e le loro facciate, insomma, guidavo con lo sguardo per aria, poi era buio e la strada era deserta, bè, devo aver investito un cane, penso un randagio. Quando sono tornato a casa, ho trovato un paraurti ammaccato e la carrozzeria di fianco graffiata dall'urto con quella bestiaccia.
-Signor De Grimani, lei mi ha convinto- mi alzo a fatica, puntellandomi con i palmi sulle ginocchia. E' vero, questa casa è troppo grande, e a pensarci bene troppo costosa per le mie tasche. Allora, lo vogliamo fare, questo affare? -dico una cifra, la prima che mi viene in mente. Una cifra spropositata. Lui non fa una piega.
-Lo sapevo che ci saremmo accordati, si vede che lei è una persona ragionevole- Gianni De Grimani si alza con un movimento elastico, sorridente. Con un gesto lo invito a sedere nuovamente.
-Vogliamo brindare? Le posso offrire qualcosa?
-Io, veramente, -borbotta, guardando l'orologio -dovrei andare, però, se le fa piacere...
-Certo, anzi ci tengo. Ho solo del bitter, va bene?
-Sì, sì- annuisce frettolosamente, ansioso di sbrigarsi.
-Faccio in un attimo- nel corridoio, quando lui non mi può più vedere, mi appoggio al muro, il cuore che martella nel petto. Dopo qualche istante che mi è sembrato un'eternità, muovo cautamente un passo, poi un altro.
Quando torno nel salotto, due bicchieri colmi di un liquido rosso come il sangue posati sul vassoio che ho tirato fuori dalla vetrina dell'argenteria, l'ospite si è alzato e passeggia pensieroso.
-Sa che lei ha fatto davvero un buon affare? -agita un dito verso di me, con quel sorrisetto complice così irritante. In silenzio, gli porgo un bicchiere, poi avvicino il mio al suo, con un leggero tintinnio.
-Sì, lo so- annuisco, mentre lo vedo vuotare in un sorso il suo bitter.
-Bè, adesso, si è fatto davvero tardi, la devo salutare. La farò contattare per formalizzare i nostri accordi.
-Addio, signor De Grimani. E stia attento.
-A cosa? -si è voltato di scatto, sulla soglia dell'appartamento. Mi fissa senza curiosità.
-Alla sua auto. Ormai la casa l'ha trovata, adesso guardi davanti a sé, così non rischia di investire un altro randagio, e di rovinare la carrozzeria.
-Ah, già. Ma sa che lei è davvero arguto? La devo proprio portare in trasmissione- ridacchiando, l'amico dei ricordi s'infila nella cabina dell'ascensore.
Lascio che la porta di casa si chiuda lentamente. Il bitter mi ha lasciato in bocca un sapore fastidioso, ma era l'unica bibita amara che avessi in casa, l'unica che potesse coprire il sapore del cardiotonico che ho versato nel bicchiere del mio ospite. Se ho calcolato con precisione la dose, farà effetto fra una decina di minuti, quando lui sarà già lontano da qui, e nulla potrà collegare la sua morte con me.
Spengo le luci in tutta casa e mi lascio cadere sul letto. Sdraiato su un fianco, sento le palpebre farsi pesanti ed il sonno calare dolcemente. Guardo gli occhi intelligenti ed affettuosi di Diana che mi fissano dalla fotografia e mi sembra di sentire il tepore del suo corpo, la coda che si muove ritmicamente quando accarezzo il suo pelo morbido, la lingua che lecca la mia mano, ronfando sommessamente. Diana, la mia unica compagnia.

Enricoelle