Arrivata
davanti alla porta, si sistemò i capelli dietro le spalle e suonò il campanello.
Jonathan le aprì dopo pochi istanti, rivolgendole un sorriso smagliante. Aveva i capelli
bagnati che gli profumavano di shampoo.
- Oh, Anna. Ciao. Vieni dentro. -
Anna ricambiò il saluto e varcò la soglia. Entrò in quellappartamento ordinato,
così accogliente da sembrare quasi finto. Le ricordava quello della pubblicità dei
cioccolatini. Jonathan le indicò il divano.
- Aspettami un attimo qui, - le disse vado ad asciugarmi i capelli. Non ti
preoccupare, ci metto poco.
- Vedi di sbrigarti ribadì Anna lo sai che casino cè davanti ai
cancelli. Se non arriviamo presto rischiamo di finire troppo lontani dal palco!
- Non ti preoccupare! rise lui Non mi perderei i Cradle of Filth per niente
al mondo! -
Jonathan si chiuse in bagno. Anna si sedette sul divano di velluto pensando che avere un
ragazzo che cura laspetto con la stessa maniacalità di una donna aveva i suoi
svantaggi. Poco male, lattesa non le sarebbe pesata. Le piaceva stare in quella
stanza, la faceva sentire a suo agio.
Quella sera però cera qualcosa che le metteva ansia. Cosa poteva essere? Si guardò
intorno. Le lampade mandavano la solita luce tiepida verso il soffitto e la moquette
grigia era soffice come sempre. Era tutto uguale alle altre volte insomma. Però..
Anna sussultò. Cera un nuovo quadro alla parete. Lansia le contrasse lo
stomaco. Distolse lo sguardo e fissò le poltrone. Non doveva guardarlo. Non doveva! Aveva
smesso perfino di andare allAccademia da quando le era successa quella cosa.
Larte era stata la sua vita fino ad allora, laveva amata più di qualunque
altra cosa, perfino più di Jonathan.
Finchè non aveva visto un dipinto. Un dipinto che le aveva scosso lanima.
Solitudine di Marc Chagall. Le era successo qualcosa di incredibile, era come entrata
nellimmagine. Era entrata in quel paesaggio oscuro, fatto di case sfumate di nero.
Aveva udito la musica cupa del violino del bue bianco. Gli occhi del bue si erano posati
su di lei e avevano pianto.
E luomo dalla barba lunga. Luomo seduto a terra, immerso nei suoi pensieri.
Anna si era chinata accanto a lui e gli aveva chiesto che significato aveva quello che le
stava accadendo. Luomo aveva alzato la testa e laveva guardata tristemente.
- Tu sei sola. le aveva detto Tu morirai da sola. Sei sola come me. Sei la
bambina più sola del mondo.
Anna aveva gridato e gridato. Lo aveva sempre saputo. Era condannata a stare sola. Era
condannata a restare bambina, la bambina più sola del mondo, la bambina dentro il cerchio
di vernice rossa.
Luomo aveva con sé una sacca di pelle marrone.
- Voglio mostrarti qualcosa. Le disse.
Anna strillò che non voleva vederlo, non voleva, non voleva. Non voleva rivedere quel
pennello. Si girò. Il violino del bue era sparito, ma lasse che pizzicava le corde
cera ancora. Era diventata una lama. E si muoveva avanti e indietro, oscillava sulla
zampa del bue. Oscillava sulla zampa del bue macchiandola di rosso, e quella non era
vernice. Oscillava e oscillava.
Le avevano detto che era affetta da sindrome di Stendhal, che tutto quello che aveva visto
era solo frutto di una malattia mentale. Daltronde lei era geneticamente predisposta
per queste cose, questo lo sapevano tutti. Ma non potevano capire, nessuno capiva. Quel
quadro le aveva ricordato la sua triste sorte. Fisicamente era cresciuta, ma nella sua
testa... nella sua testa era sempre la stessa bambina di quella notte, la bambina dentro
il cerchio rosso.
E ora, nellappartamento del suo ragazzo, quella cosa si stava ripetendo. Il quadro.
Non doveva guardarlo. Ma era più forte di lei. E allora si girò e lo vide. Era un quadro
strano, non lo conosceva. Lo sfondo era di un celeste cupo. Cera una donna bianca,
tutta bianca, rannicchiata su se stessa in un angolo, come persa in riflessioni dolorose.
E in alto cera un cavallo che sembrava uscire dalla sua testa come una vignetta dei
fumetti. Era sfocato, fatto di sfumature violacee. Il viola è il colore della mente, del
Terzo Occhio, del settimo chakra.
E Anna risentì quella sensazione. Si vide inghiottita dallimmagine, risucchiata da
un vortice di colore. Questa volta fu come entrare in quella donna bianca, possederla come
uno spirito. Si trovò in un mondo fatto dacquarelli grigi e celesti, un mondo
vuoto. Il cavallo violaceo volteggiava nellaria lasciando ad ogni movimento scie di
tempera bianca. Una sua zampa era attaccata alla testa di Anna come un macabro cordone
ombelicale.
Faceva tanto freddo. Anna si rannicchiò su se stessa.
- Chi sei? chiese al cavallo.
Una voce che non era voce le rispose.
- Sono il tuo inconscio.
Anna pianse. Il pianto disperato di una bimba.
- Perché non mi lasci stare?
- Sei tu che non riesci a staccarti da me. Io sono fatto solo di tuoi pensieri.
Il cavallo si ingigantì. Sempre più grande, fino a farla sparire nei suoi toni violacei.
Le mostrò di nuovo quella notte.
Era una bambina piccola, tanto piccola. Era legata al centro della
stanza e piangeva. Sua madre. Quella era sua madre. Quella donna dai capelli arruffati che
teneva in mano il barattolo di vernice rossa. Quella donna che intingeva il pennello e
macchiava le pareti di rosso recitando preghiere. Il suo cerchio di vernice passava sui
mobili, sulle pareti, sulla statua della Madonna. Le fiammelle delle candele tremavano di
paura insieme ad Anna.
- Non temere, piccola mia le diceva, interrompendo le preghiere ti sto
esorcizzando dal male.
Anna strillava e nessuno la sentiva. Continuava a strillare. Era sola. E lo sarebbe
rimasta per sempre.
Poi erano arrivati uomini con uniformi arancioni e avevano portato via la mamma. Anna era
stata affidata ad una famiglia sana, ma il danno nella sua mente ormai era stato compiuto.
Il cavallo viola si rimpicciolì e riprese a fluttuare nel grigio. Anna
si strinse tra le proprie membra bianche. Il ricordo di quella notte non lavrebbe
mai abbandonata, lei lo sapeva. Sarebbe rimasta per sempre dentro quel cerchio rosso.
Nel grigio si aprì un quadrato. Una finestra che collegava il mondo grigio con il salotto
di Jonathan. Anna si mosse come nuotando nella tempera, trascinando con sé il cavallo
viola. Si aggrappò al bordo del quadrato, vi si infilò dentro, passò attraverso il
varco trascinando con sé il cavallo. Fu sulla moquette grigia. Riprese il suo colore
normale, i suoi vestiti scuri. Il cavallo era diventato trasparente. Il quadro
nientaltro che un quadro.
Jonathan comparve dal corridoio con i capelli asciutti e vaporosi.
- Eccomi.. ma che ci fai lì per terra?
Anna si alzò. Prese le mani di Jonathan e le baciò.
- Che ti prende? le chiese.
- Devo andarmene.
- Eeeh? Dove?
- Non puoi capire.
- Dove pensi di andare? Non vuoi più venire al concerto?
- Non posso.
Jonathan si passò le mani tra i capelli.
- Che è successo?
Anna era già alla porta. Lo guardò unultima volta, poi corse via. Corse giù per
le scale, corse per le strade. E ricominciò a piangere.
- Sono la bambina più sola del mondo.. sono la bambina più sola del mondo..
ripeteva come un mantra.
Le strade erano stranamente deserte. Anna camminò per i vicoli scuri con le gambe
tremanti. Vide qualcosa a terra, nel buio. Una sacca di pelle marrone. Il viso le si
piegò in un sorriso amaro. Prese la sacca, la aprì. Dentro però non cera un
pennello. Cera lasse del violino. Gocciolava di sangue di bue.
Anna la impugnò. Sapeva cosa fare. Avrebbe suonato sui suoi polsi.