«Senti freddo?» La voce di Vincenzo ruppe un silenzio che si
protraeva da alcuni minuti. Daniela sgranò leggermente gli occhi e piegò la testa verso
la finestra leggermente aperta, trattenendo un gemito. Da alcuni minuti la pioggia non
cadeva più e luomo aveva aperto le pesanti imposte di legno per fare entrare un
po daria.
Vincenzo grugnì qualche cosa di incomprensibile verso la donna e si alzò dalla sedia che
aveva posizionato accanto al letto. La stanza era davvero piccola e con due passi
raggiunse la maniglia. Chiuse con un gesto brusco poi si voltò e tornò a sedere.
Gli occhi della donna erano socchiusi e lui evitò di incrociare quello sguardo
supplichevole.
«Ora vado» mormorò, più a se stesso che alla moglie agonizzante. «Vado» ripeté.
Mentre si alzava Daniela provò ad allungarsi verso il marito, ma era talmente debole che
non riuscì nemmeno a fare uscire il braccio da sotto la pesante coperta. Luomo la
squadrò alcuni secondi e si fermò solo un attimo di troppo sulla macchia di sangue
allaltezza delle gambe.
Un gemito di dolore, rauco e debole. Un colpo di tosse. La donna non avrebbe resistito
ancora per molto. Doveva trovare una soluzione. Daniela si stava consumando.
La tempesta li aveva bloccati su quella piccola isola e da dieci giorni nessuna
imbarcazione era riuscita ad avvicinarsi abbastanza per trarli in salvo o per consegnare
loro acqua e cibo. La marcescente abitazione di un vecchio contadino era lunica
protezione che avevano, lunica possibilità di scampare allira demoniaca che
sembrava perseguitarli.
La piccola imbarcazione sulla quale viaggiavano si era dapprima incagliata sugli scogli di
una baia poi, dopo che con le ultime forze si erano trascinati sulla riva, era stava
risucchiata dalla violenza del mare. Vincenzo, seppur stremato e quasi senza respiro,
aveva trovato la forza di gettarsi unultima volta nellacqua turbolenta per
salvare quello che ne rimaneva. La furia degli elementi lo travolsero e si risvegliò
alcune ore più tardi di nuovo sulla terraferma, pochi passi alla destra del corpo inerte
della moglie.
Lisola era piccola e deserta. Da subito si rese conto che non avrebbe trovato molto
da mangiare. Due giorni dopo capì di essersi sbagliato. Da mangiare, sullisola, non
cera nulla.
E quella maledetta tempesta non accennava a diminuire. Li stavano cercando, Vincenzo ne
era sicuro. Ormai mancavano da troppi giorni. Poi alla sua mente balenò lidea che
forse li credevano morti e che quindi non li avrebbero certo cercarti. Non così a lungo
almeno.
Voltò le spalle al letto dove giaceva sempre più sofferente la moglie e si mosse verso
la porta, per affrontare ancora una volta limbarazzante sensazione del nulla.
Nulla da mangiare.
Nulla da sperare.
Nulla di nulla.
Almeno la pioggia sembrava essere svanita. Il cielo era ancora grigio e minaccioso, ma il
peggio era sicuramente passato. Camminò verso la riva e come aveva fatto ogni giorno dal
naufragio, ogni giorno sotto la pioggia torrenziale, scrutò lorizzonte. Per tornare
a sperare.
Nulla.
Ancora il nulla, ostinatamente.
Una fitta allo stomaco gli ricordò che da molte ore non mangiava nulla. Non potevano
resistere ancora molto. Lorizzonte era sgombro, come inesistenti erano le sue
speranze di sopravvivere. Poteva solo rimandare linevitabile. Se non fosse stato per
la fame
istintivamente si passò una mano sullo stomaco. Era sempre stato magro, ma
in quegli ultimi giorni era diventato quasi irriconoscibile. Era già lo scheletro che
presto sarebbe diventato.
Contro la fame non potevano nulla. O quasi.
Tornò indietro e quando si chiuse la porta alle spalle Daniela aprì gli occhi. Vincenzo
lesse una vaga espressione di terrore nel suo sguardo smarrito. Ogni giorno attendeva con
ansia e terrore il suo ritorno.
Vincenzo scosse la testa. La donna non ebbe neanche la forza di lamentarsi.
«Nulla» disse luomo e tornò a sedersi accanto al letto, col viso a pochi
centimetri dalla macchia di sangue sulla coperta.
«Ho fame» disse alla fine, guardandola negli occhi. Lei non rispose e voltò la testa
dallaltra parte.
«Tu non hai fame?» chiese, mentre la sua voce assumeva quel tono a metà tra il
minaccioso e il disperato. Daniela annuì con un piccolo, insignificante, cenno della
testa.
«Lo so che hai fame» concordò Vincenzo. «È naturale.»
Daniela chiuse gli occhi e una lacrima sfuggì alla sua disperazione, rigandole il volto
sporco.
«Piangi perché hai fame?»
La donna scosse la testa e cercò di abbozzare un sorriso. Anche Vincenzo sorrise, ma in
modo tale da fare correre un brivido lungo la schiena di Daniela. Gli occhi di lui si
chiusero un po mentre aggrottava la fronte. Il sorriso si trasformò in un ghigno e
scoprì i denti, mente luomo ripeteva lultima domanda: «piangi perché hai
fame?»
Daniela non rispose e si limitò a chiudere gli occhi, senza preoccuparsi di piangere
ancora.
«Anche io ho fame» disse luomo.
«Sì» mormorò la donna, assecondandolo.
«Dovremmo mangiare qualcosa» incalzò lui.
«Presto ci salveranno» provò a convincerlo, allungando una mano verso il ginocchio di
lui, per carezzarlo.
«Io però ho fame» luomo chiuse gli occhi e alzò la testa verso lalto,
serrando la mascella.
«Presto...»
«Ho fame. Tu hai fame» urlò, allungando una mano verso il rudimentale comodino che era
al suo fianco.
«No, caro. Noi...»
«Noi mangeremo ancora un po» concluse Vincenzo. «Solo un pochino.»
Da sopra al comodino prese un coltello arrugginito che in quei giorni aveva limato su una
pietra raccolta sulla spiaggia.
«No» urlò la donna, cominciando a dibattersi. Poi il dolore fu troppo forte e si
accasciò esausta nel letto, senza che Vincenzo facesse nulla.
«No» ripeté ancora, quasi una supplica.
«Non è nulla» sussurrò lui per tranquillizzarla. «Nulla.»
Sollevò le coperte e scoprì le gambe della donna, avvolte da stracci sporchi.
Sporchi di sangue. Sporchi di dolore.
«Non è nulla» disse ancora una volta, mentre scopriva la carne viva che un tempo erano
le gambe della moglie. «Non fa male. Solo un po. Per andare avanti.»
Ormai non si voltava più verso la donna. Il suo sguardo era fisso sulla carne rossa che
lo avrebbe sfamato. Sorrise e avvicinò la lama poco al di sotto del ginocchio della
moglie, dove una volta cera il polpaccio.
«Ce nè ancora a sufficienza, cara.» Daniela rispose con un gemito sordo di
dolore, poi quando luomo cominciò a lacerarle la carne strinse forte i denti e si
lasciò sfuggire un urlo profondo. Il dolore pulsante durò ancora per alcuni secondi poi
si affievolì un poco alla volta. Riaprì gli occhi che aveva serrato con forza e riuscì
a vedere il sorriso estatico del marito alcuni istanti prima che addentasse il boccone.
In quellistante lui si voltò verso di lei e i loro sguardi si incrociarono, poi il
brandello di carne sparì nella bocca delluomo.
«Non ti preoccupare dolcezza» disse. «Ce nè anche per te.»
Poi tornò a stringere forte il coltello.
«Non è nulla» mormorò. «Nulla.»