Più t'amo quando dai grandi occhi un pianto
Riversi, caldo come sangue: invano
Ti culla la mia mano,
Ché scoppia come un rantolo
D'agonizzante il tuo dolore umano.
(Charles Baudelaire, Madrigale Triste)
Seduto nel
buio. Sento la mia schiena nuda appoggiata al muro, le lacrime che si sono asciugate sulle
guancie. La pistola fra le mani. Basterebbe un unico colpo. Forse. La porto verso la
tempia. Il dito sul grilletto. Scatto impercettibile, ma io lo sento fin dentro l'anima.
Sono un uomo qualunque, sul pavimento qualunque di un appartamento buio qualunque, con una
pistola qualunque fra le mani. Niente di particolare. Occhi sigillati. Premo il grilletto.
Clic.
Vivo. Ancora vivo. Non c'è il colpo in canna. Un altro tentativo. Ma prima, un frammento
a caso: danza impazzito nella mente. Prima di andarmene, ricorderò la mia storia per
l'ultima volta.
Girai lentamente la chiave nella toppa, con un sottile rumore nelle
orecchie. Lo conoscevo: non era la prima volta, non sarebbe stata l'ultima. Posai la mia
valigietta nell'anticamera, camminando quasi in punta di piedi. Non mi erano mai piaciute
le scenate, ma la curiosità era troppo forte: dovevo vederlo in faccia. Il gemito sottile
si faceva vagamente più insistente: era vicino. Nella stanza da letto, la porta era
socchiusa. La sfiorai leggermente, e poi puntai gli occhi verso l'interno. Se mi fossi
visto allo specchio, probabilmente sul volto avrei avuto la mia solita espressione:
sguardo spento, collo vagamente inclinato, sorrisetto accennato con una punta di autentico
dolore.
Sul letto, la donna era sopra di lui: lo stava scopando e lanciava gridolini di piacere,
che ero perfettamente capace di riconoscere. L'intensità e la cadenza mi era famigliare:
nell'arco di un minuto avrebbe raggiunto l'orgasmo. Quando le coperte si scostarono per un
attimo, intravidi il volto dell'uomo: anche se deformato da una smorfia, lo riconobbi
senza esitazioni. Poi girai lentamente le spalle, allentandomi il nodo della cravatta: era
stata una giornata faticosa.
Ero sulla poltrona con una rivista sulle ginocchia, quando lui mi
passò davanti con aria indifferente.
"Ciao Thomas" il mio volto gli regalò un sorriso di plastica.
"C-ciao Jack
come va?".
"Bene" risposi prontamente " e anche a te deve andare per il verso giusto,
scommetto. Ti sei appena scopato Jean, d'altronde".
"Jack
io
" adesso era onestamente imbarazzato.
Feci un ampio gesto con la mano, per fargli intendere che non importava:
"Ma figurati, Thom. Torna quando ti pare; ma ricordati che io stacco dall'ufficio
alle cinque, cerca di essere fuori prima. E toglimi un dubbio: era la prima volta?"
Mi guardò intensamente per un attimo, come se stesse decidendo la risposta davanti a me.
Era un bel ragazzo: capelli scuri fino alle spalle, un fisico nordico ed uno sguardo
intenso. Al contrario mio: i capelli in caduta libera, il vago ricordo di un fisico
decente, un abbozzo di pancetta da alcolista.
"No, non era la prima volta".
Non dissi più niente, limitandomi ad osservarlo mentre chiudeva la porta e scompariva
nella tromba delle scale. Subito dopo, lei si portò davanti ai miei occhi: non si era
degnata di vestirsi. I capelli biondo-scuro le accarezzavano le spalle, mentre la
profondità dello sguardo sembrava un sole azzurro su quel corpo perfetto, senza un filo
di carne fuori posto.
"Jean
" cominciai.
"Ciao amore!"
Senza lasciarmi il diritto di parola mi saltò addosso, inchiodandomi alla poltrona. La
rivista era svenuta scompostamente sul pavimento. La baciai senza sorridere; la
abbracciavo e sentivo fra le dita l'umidità del suo corpo nudo, dopo la consueta
ginnastica fra le lenzuola. Subito, il mio volto si rabbuiò.
"Cazzo Jean, adesso anche Thomas" dissi, senza particolare inclinazione nella
voce.
Lei sorrise: sembrava non aver capito.
"Thomas è un bel ragazzo. E poi lo sai che io amo solo te".
"Sto parlando seriamente, Jean: non posso uscire da casa che mi trovo nel letto un
uomo diverso".
Mi teneva dolcemente per il colletto della camicia; si chinò lentamente, avvicinando le
labbra al mio orecchio.
"Ma tutti gli altri non li amo. Non sono niente per me. Quante volte te lo devo
dire?"
La scostai con una leggera spinta; ma lei, piccola di corporatura, ruzzolò all'indietro
atterrando sul tappeto. Adesso sembrava minuscola: io sulla poltrona a gambe incrociate,
lei insignificante animale nudo accovacciato sul pavimento. Sapevo che mi stava dicendo la
verità.
"Senti Jean, ho preso una decisione: non ti sposerò".
La osservai per alcuni secondi di silenzio; notai gli occhi leggermente rossi, fino alle
lacrime che scorrevano lungo le guance. Era più bella del solito.
"Perché?" bisbigliò con un filo di voce. Era un'amante delusa.
"Tenta di capirmi, Jean. Cosa posso avere da te dopo il matrimonio?"
"Puoi avere
" si bloccò. Non trovava nulla da dire.
"Te lo dico io: nulla di più di quello che hanno avuto molti altri uomini".
"Ma tu avevi detto
"
"Ci ho ripensato, Jean. Ti accetto per come sei, so che non mi mentiresti mai. Ma
prima devi darmi qualcosa in più. Così non posso sposarti, cerca di capirmi".
Ormai singhiozzava, rischiando di farmi esplodere il cuore. Avvertii qualcosa come un
groppo in gola, ma mi affrettai a scacciarlo: d'altronde la amavo, ma era una puttana.
"Jack, lo sai che io non posso
"
"Smettere di scopare con tutti gli altri? Sì, lo so. Ne abbiamo già parlato".
Si stava asciugando gli occhi, ma rimaneva quella smorfia di tristezza.
"Ti darò qualcosa in più. Ci riuscirò, te lo prometto
"
Mi alzai: mi pareva di averne avuto abbastanza. Decisi di fare una passeggiata; il taglio
gelido dell'aria serale mi entrava nella testa, impedendomi di pensare. Adocchiai un bar:
pregustavo il sapore dello scotch sul palato. L'appuntamento non si poteva rimandare.
Entrai nel locale affollato: c'era tantissima gente, ma neanche un essere umano.
Girai lentamente la chiave nella toppa. Nessun sottile rumore stavolta
nelle orecchie. Mossi alcuni passi nella penombra, sforzandomi di cogliere il minimo
rantolo. Niente. Strano. Eppure Jean usciva soltanto con me: per il resto, era la nostra
casa che diventava il vascello dell'inferno. Girone dei lussuriosi.
D'improvviso, la vidi. Era seduta sulla mia poltrona, addosso soltanto una vestaglia di
seta.
"Jack". disse lei: la voce era sensuale, stranamente strascicata.
"Ciao, Jean. Come va? Non c'è nessuno in casa? E copriti, che fa freddo".
Mosse impercettibilmente un braccio, come per accantonare l'argomento.
"Non importa adesso. Ho risolto tutti i problemi. Ho trovato quello che cerchi."
"Che cosa?" Non mi impegnai a nascondere l'evidente sorpresa, disegnata sul mio
volto come lo schizzo di un bambino. Mi capitava raramente di rimanere allibito.
"Vieni con me".
Prese la mia mano massiccia e rovinata nella sua, elegante e perfettamente liscia.
Fiorellini di smalto rosso sulle unghie. La seguii in camera da letto, mentre lei
cominciava a spogliarmi. La camicia macchiata di alcool diventò un gomitolo in un angolo.
Continuavo a guardarla, e mi sembrava più bella del solito: sorrideva timidamente. Forse
ero stato troppo severo con lei; poi la mente ritornò sui sospiri e gli uomini, i rantoli
e i liquidi. Ma io la amavo lo stesso.
Mi sentivo sfinito, nella carezza gelida dell'oscurità. Avvertivo che
era seduta sul letto vicino a me, porgendomi la schiena. Non avevo più l'età per tenere
testa ad una ninfomane: quella volta, poi, era stata meglio di tutte le altre. Poi mi
ricordai cosa mi aveva detto.
"Jean
"
"Sì? Cosa c'è?" avvertii il leggero movimento della nuca. Si era girata verso
di me, cercando vanamente di scrutarmi nel buio.
"Prima avevi detto
"
"Mi ricordo" sentivo la sua voce farsi leggermente più tenue. Il tono si era
stranamente abbassato, come la nota minore del pentagramma. Attesi in silenzio, con un
pensiero strisciante che avanzava nella mente.
"Mi hai detto che non avrei potuto darti di più degli altri. Beh, ho trovato il
modo
"
Non ero tranquillo. Il mio corpo nudo sotto lenzuola era percorso da un tocco gelido.
Avevo paura a formulare la domanda.
"Cosa
vuoi offrirmi?"
Sorrise nel buio. Abituato all'oscurità, riuscivo vagamente a vederla; i suoi lineamenti
sottili la avvicinavano ad una statua in leggero movimento.
"Me stessa" disse, semplicemente. La voce si andava affievolendo, nel campo di
battaglia del suo volto che tentava di nascondere il fragoroso dolore.
"Non penserai mica
" provai a chiedere.
"Ho ingoiato il flacone di barbiturici. Ora sei convinto che ti amo?"
"Cazzo, Jean
quanto tempo
"
"Due ore fa. Non potevo permettere che facessi qualcosa." Il tono era il
rintocco di una campana funebre. La intravidi appoggiarsi allo schienale del letto, mentre
continuava a perdere le forze.
Con uno scatto mi ritrovai in piedi. Bagliori di pensiero mi sfioravano il cervello, per
poi scomparire come nel fondo di un pozzo.
"Dimmi soltanto se sei convinto
" si stava spegnendo. Mi mossi verso
quell'ombra oscura, senza riuscire a parlare; ma sapevo di dover rispondere, perché
quelle erano le ultime parole.
"Certo, Jean
certo che sono convinto. Ma io l'ho sempre saputo."
Provò ad accarezzarmi, ma non aveva le energie. Allora io le presi il volto, mentre
respirava sempre più lentamente. Mi avvicinai a lei, il suo odore nelle mie narici. Ormai
eravamo un unico corpo, sentivo che fuori pioveva, la mente impazziva e la donna più
bella del mondo era svanita fra le mie braccia. Fu allora che presi la pistola.