Era una
notte di primavera quando, dopo una lunga agonia, trapassai.
Me ne andai in sordina, lasciando il mio corpo distrutto dalla malattia nel letto disfatto
del mio attico in centro...
Solo e smarrito, mi ritrovai in un grande spazio aperto ove tutto era lattiginoso e
sfumato. Mi sembrava di essere fra le nuvole anche se, stranamente, l'aria era ferma,
stagnante. Sotto i piedi sentivo un suolo liscio e regolare, quasi come una lastra di
vetro.
A differenza di quanto si racconta, non vidi nessuna grande luce né tantomeno provai
gioia: in quella specie di nebbia avevo freddo e una gran paura!... La solitudine, sentivo
la solitudine!... Quella "belva" famelica che in vita mi aveva sempre
perseguitato, adesso l'avvertivo violentemente, come uno schiaffo.
Cominciai a tremare, mi sentivo svenire e non c'era nessuno che mi potesse soccorrere:
anche nell'aldilà sarei rimasto solo!
Maledettamente solo!...
D'un tratto intravidi lontano un puntino nero che si avvicinava velocemente. Una brezza
fredda smosse l'aria stanca mentre il puntino, avvicinandosi, si trasformava in un
qualcosa di lungo ed affusolato. La trasformazione continuò finchè la strana sagoma
rivelò il suo vero aspetto: era la morte.
Il lungo mantello nero col cappuccio, la faccia di teschio e la falce lucente... Era
davanti a me immobile, sembrava che mi stesse osservando. I miei occhi incrociarono per un
attimo le sue ossute orbite vuote: rabbrividivo quando, da vivo, la vedevo rappresentata
nei dipinti medioevali, nei libri oppure in qualche film; adesso invece non mi spaventava
più, anzi, la sua presenza fu per me un gran sollievo.
Tentai di alzarmi, ma non sentivo più le gambe. Provai allora a borbottare qualcosa:
"Mi chiamo..."
"Sta quieto, ti conosco... Ti conosco bene..."- mi rispose con voce di donna,
calda e rassicurante.
"Ho freddo, tanto freddo!" - risposi tremando come una foglia.
"Coraggio, alzati. Dobbiamo fare un po' di strada insieme. Hai paura di me?"
"Adesso no... Anzi, sono contento che tu sia qui!"
Senza replicare mi aiutò ad alzarmi porgendomi la mano scheletrica: era gelida ed aveva
una presa poderosa.
Cominciammo a camminare: lei davanti ed io dietro, come un cagnolino che segue il padrone.
"Dove andrò a finire?"- chiesi un po' timoroso.
"Non lo so. Non mi è concesso saperlo. Devo solo accompagnarti al "sito di
commiato": là saprai la tua destinazione!"
Camminammo per mezz'ora in silenzio, lei non si voltava mai ed io, come un automa, la
seguivo. Stavo rimuginando sulle ultime ore della mia vita senza provare nessuna emozione.
Intanto una specie d'alba cominciava ad illuminare quel grande spazio nebuloso mentre il
vento si fece meno insistente.
D'improvviso l'oscura signora si soffermò e, voltandosi, mi fissò negli occhi. Girò poi
la testa verso quello strano crepuscolo e, dopo un attimo di pausa, disse:
"Ti ha odiato tanto... Ti ha fatto tanto soffrire e tu gli hai sempre permesso di
umiliarti!... Poveretto!"
Rimasi stupito, non afferrai il senso di quell'affermazione:
"Chi? Che cosa?... Chi mi ha odiato ed umiliato?"
"Lo sai... Lo sai benissimo!"
"Non lo so, giuro! Non so a chi ti riferisci!"
"Lo sai che sto parlando del tuo peggior nemico!... Pensaci bene! Ascolta te stesso e
dimmi chi è il malvagio che ti ha sempre affossato... Potevi essere un cigno ma lui ti
riduceva sempre ad anatroccolo: per lui dovevi sempre essere l'ultimo, anche se per gli
altri eri il primo!".
Il teschio della morte si piegò in una smorfia che doveva essere un sorriso, non so se di
scherno o di compassione.
Riprendemmo il cammino.
Io rimasi qualche passo indietro. Quelle parole avevano attivato in me uno scomposto
ribollio di ricordi, sensazioni, vicende della vita terrena... Chi era questo malvagio?
Chi mi aveva fatto tanto male?... Chi mi aveva sempre tarpato le ali?...
Nell'affannosa ricerca, sentivo crescere in me un cupo, indescrivibile sentimento di
rancore. Ricominciò il tremito, ma questa volta non era il freddo... era l'odio!
Visto che ero rimasto indietro, pazientemente si fermò anche lei e, appoggiandosi alla
falce, esclamò:
"Che fai ti fermi?... C'è ancora un bel pezzo da fare! Muoviti, dobbiamo arrivare
entro la fine del crepuscolo!"
"Ci sono! Ho capito!... Certo che ho capito!" - urlai fuori di me - "I miei
genitori... Sì, loro! Con tutte quelle false premure e quei consigli inutili! Ogni cosa
che facevo non andava bene!"
"Uhmm..." - ribattè la morte - "I tuoi genitori ti hanno sempre amato ed
hanno sempre rispettato le tue decisioni, anche le più insensate..."
"Allora la mia ex moglie... Sicuro! Quella puttana... Sensibile solo ai miei soldi!
Non ha mai approvato l'educazione che davo a nostro figlio e, sopratutto, criticava sempre
il modo con cui gestivo l'azienda! Sì... Sì, è lei che mi ha fatto ammalare e che non
mi ha mai amato!"
"Ti ha amato... Ti ha amato, ti pensa e ti ama ancora, dopo tanti anni!"
Il crepuscolo stava finendo, dovevamo sbrigarci ma ero fuori di me ed avevo bisogno di
sfogare quella rabbia feroce:
"Aspetta... Sì, Sì! I miei amici! Tutti ottusi invidiosi, belli fuori e marci
dentro! Altro che villeggiatura insieme e cene! Erano tutti a giudicare, ad opprimere! Non
hanno mai compreso chi ero e che cosa ho fatto per loro! Maledette bestie!"
La morte non rispose, si rimise la falce in spalla e riprese il cammino.
"Il mio staff! I miei collaboratori!... Ma certo! Tutti quei cani che pagavo
esageratamente per le loro consulenze del cazzo! Grazie a loro la mia azienda è
fallita... E' FALLITA! Anni di sacrifici e notti insonni di lavoro!... Maledetti serpenti!
Non mi dovevo fidare!... Sentivo i loro commenti, le loro derisioni, la scarsa stima che
avevano di me!"
La morte allora mi si avvicinò e, facendo cenno negativo con la testa, aggiunse:
"Avevi uno staff eccellente, al quale hai saputo dare tanto e loro hanno dato tanto a
te ed all'azienda, nonostante il fallimento. Inutile che ti torturi adesso... ormai tutto
è passato!"
Per un attimo rimasi immobile, pensieroso poi, come folgorato, sbottai nuovamente:
"Mio figlio!... Il mio amato figlio... Ma io lui l'amavo! Perchè mi ha odiato
tanto?... Perchè?"
Mi afflosciai come un pupazzo di stoffa cadendo in ginocchio. Il furore fu bruscamente
sostituito da un senso di sgomento: mio figlio, infatti, fu l'unica grande gioia della mia
triste esistenza.
A questo punto l'ossuta interlocutrice si spazientì e, sventolando il mantello, mi
ghermì malamente con i suoi artigli scheletrici:
"Adesso basta! Stai esagerando! Vieni, cammina! E non osare più fermarti: il tempo
è quasi scaduto!"
Mi feci strascinare per qualche metro poi, tentando una sfortunata resistenza, implorai
sconvolto:
"Morte... Tu lo sai. Dimmi, dimmi chi è. Anche se tutto è passato fammi capire: tu
che sei il passaggio ad una nuova vita aiutami a comprendere!..."
A queste parole lei mi osservò. Lasciò la presa con la quale mi aveva afferrato poco
prima. Avvertii un ché di compassione in quell'orribile volto di teschio:
"Ma perchè lo vuoi sapere?... Io volevo soltanto portarti a riflettere sulla TUA
esistenza!..."
"Lo so, lo so. Non posso fare più niente ma voglio saperlo!"
"Va bene... Ma non so se sia giusto o utile... Comunque non lo saprai mai dalla mia
bocca... Potrò solo mostrarti il suo volto!"
"Sono pronto! Dov'è?"- ribattei esaltato.
"Laggiù!"
La mano di scheletro si mosse indicando un punto lontano nella foschia. Mi sembrava di
intravedere qualcosa, forse una figura umana. Senza indugiare cominciai a correre il più
veloce possibile; avevo pochissimo tempo per conoscere l'identità del mio peggior nemico,
di colui che aveva fatto della mia rovina la sua più grande fortuna! L'odio ed una
esasperata curiosità mi spingevano, come in un delirio, a correre sempre più forte.
Finalmente la nebbia si diradò e mi accorsi che la figura non era un essere vivente ma un
oggetto, una specie di grande parallelepipedo grigiastro.
Col cuore in gola mi soffermai e mi guardai attorno: soltanto fitta nebbia fredda... E di
nuovo solo!
Girai intorno al parallelepipedo. Sembrava quasi un'enorme lapide. Il vento gelido riprese
a soffiare. Non sapevo cosa fare, non c'era nessuno e non succedeva niente...
La mia attenzione, però, fu attirata da una piccola, strana fessura nel blocco. Accanto
c'era un anello dorato con tutt'intorno decorazioni in argento.
Non potevo perdere più tempo e, senza esitare, afferrai l'anello e lo tirai con forza:
l'immenso parallepipedo si schiuse proiettando tutt'intorno una luce bluastra mentre in
una specie di varco tridimensionale apparve un volto...
IL MIO VOLTO! LE MIE SEMBIANZE... Ecco che, come in un paradossale montaggio di scene,
rividi tutti gli episodi della mia vita ove apparivo come il carnefice di me stesso.
Adesso capivo anche il perchè di tante situazioni, di tanti insuccessi, di tanta
solitudine...
In un baleno tutto sparì e mi ritrovai di nuovo al cospetto della morte completamente
sconvolto: non ce la facevo a parlare e riuscivo appena a muovermi. Lei non aggiunse
niente, mi prese delicatamente per mano e mi condusse al "sito di commiato".