...E corriamo in una direzione ma,
quale sia, che senso abbia, chi lo sa....
(Francesco Guccini)
Amore
Nelle prime ore del pomeriggio la città è come morta: l'invadente rumore del traffico
mattutino si dilegua lentamente, richiamando i propri fautori a rendere onore alla pausa
pranzo nei tanti bistrot, fast food e ristorantini di vario genere di cui è pieno il
centro; il vociare confuso della strada si affievolisce, l'irriverente familiarità dei
clienti che danno del tu torna ad essere esercitata all'interno delle mura domestiche, su
tutto si posa un piacevole velo di calma e serenità. Tuttalpiù, un solitario refolo di
vento spazza con gentilezza la strada, alleggerendola di un po' di polvere e cartacce, che
si alzano pigre in volo per essere trasportate chissà dove.
In uno dei tanti negozi alla moda di cui è costellata la grande via stanno due giovani
commesse che si confidano tra loro, riposandosi dopo la stancante mattinata.
La prima, bruna, ha un volto deciso e volitivo, in cui spiccano due bellissimi occhi verdi
truccati pesantemente, che le conferiscono un che di ammaliante; l'altra è di certo meno
appariscente della collega: una folta massa di capelli rossi incornicia il viso piccolo e
tondo, costellato di piccole lentiggini.
Mentre parlano, le due ripongono svogliatamente la merce invenduta nei grandi scaffali del
negozio: il fruscio del cellophane ed una tenue musica che viene da qualche parte nella
strada sono l'unico sottofondo.
"Dov'è che sei andata ieri?" chiede la rossa, con i soli ricci spuntanti da un
pericolante cumulo di maglioni che tiene incerta fra le esili braccia.
"Mah, niente di eccezionale", risponde la mora, "siamo andati tutti insieme
in quel nuovo locale dove voleva portarci Ciccio".
"C'era anche lui?"
"Sì guarda, una cosa da diventare pazzi. Non mi ha mollato un secondo, sempre mille
attenzioni, ha provato ad offrirmi di tutto, proprio non la vuole capire
"
La rossa si volta, quasi di scatto: "Ancora"?
"Ancora sì", ribatte l'altra, con un tono misto di rassegnazione e stizza,
"non mi ha dato pace, lo vedevo ogni tanto che mi guardava e poi distoglieva un po'
gli occhi, come a far finta di fissare nel vuoto
e dire che non ha il coraggio di
dirmi niente, spera che faccia tutto io, può stare fresco!"
Adesso la bella brunetta ridacchia, guardando l'amica.
"Però mi fa un po' pena", dice quest'ultima.
"Pena un corno!" ribatte l'altra, con la voce indurita; adesso i begli occhi
verdi, per un gioco di luce (oppure no?) hanno un che di cattivo: "Mica è stupido!
Non può continuare ad assillarmi così! Se lo deve mettere in testa che io ho una vita e
che non intendo perdere tempo con lui. Certe cose uno le può anche capire da solo, ché
mica dobbiamo stare a spiegare tutto noi
"
"Va bene, va bene, calmati", interviene la rossa, quasi spaventata dallo sfogo
dell'amica, "e, dimmi, c'era nessun altro?"
"Ah, sì" prorompe la mora, ritrovando il sorriso, "Uno troppo bello, credo
sia un amico di Carlo
ma bello da morire! L'ho visto un paio di volte che mi
guardava facendo finta di niente, ma ci scommetto che ha già chiesto il mio numero a
qualcuno! Dai che questa è quella buona!"
Fuori, il sole ha percorso un po' della sua pigra strada, e una macchina passa,
silenziosa.
Potere
La sede della ditta è un imponente monolito nerastro, che con le sue raffinatissime
pareti a vetro riflette impietosamente la realtà periferica che lo circonda, come uno
sporco sudario di fumo e tristezza.
La sede della ditta è un gigantesco fungo sorto nella miseria di quel quartiere
dimenticato da Dio, come sempiterno monito a fuggire la povertà, fiabesco Moloch di
consigli d'amministrazione e di berline con autista.
La sede della ditta fagocita ogni giorno centinaia di uomini che vi entrano stanchi ed
ugualmente stanchi ne escono, trascinandosi con spossatezza attraverso mille giorni sempre
uguali.
Fra questi uomini c'è il vicedirettore Carloni, un bell'uomo abbronzato sui quaranta;
eccolo che scende con lieve affettazione dalla BMW di rappresentanza, si avvia spedito
verso l'ufficio, come se da un suo ritardo dipendessero chissà quali sventure, saluta con
malcelata superiorità gli uscieri che parlano di calcio ed entra nel suo ufficio.
Non ha nemmeno cominciato a scorrere la prima corrispondenza, posata sul suo tavolo dalla
segretaria con la consueta solerzia, che già gli salta agli occhi una nota di Ferri,
circa qualche riunione, o qualcosa di simile.
"Ferri, Ferri, ancora Ferri!" pensa con astio Carloni.
Trattasi di Ferri Enrico, trentanove anni (ben sette in meno del Carloni, sul viso del
quale, nonostante l'abbronzatura, cominciano ad affiorare le prime rughe), brillantissimo
giovane assunto dalla ditta un anno prima e protagonista, per meriti e dedizione, di una
vertiginosa scalata al potere che lo ha portato nel breve volgere di dodici mesi da un
misero impiego di contabilità al prestigioso posto di assistente dell'amministratore
delegato.
Ed è proprio Ferri, il costante cruccio del vicedirettore: sempre presente, sempre
fresco, mai una malattia. Sembra trasmettere ad ogni particolare della vita lavorativa la
stessa energia che pare pervaderlo in ogni momento. È giovane, instancabile, e sembra
destinato ad un roseo futuro tra le materne braccia della ditta.
Carloni al solo pensarlo rabbrividisce: lui che ha speso vent'anni della propria vita in
un lavoro che non gli è mai piaciuto, lui che, a forza di intrighi e servilismi ha
raggiunto un invidiabile status di potere che i suoi soli mezzi non gli avrebbero mai
permesso di ottenere, ora dovrebbe essere scavalcato da un pivello neoassunto a cui riesce
tutto, come se fosse un gioco?
No, non lo permetterà mai: il potere così faticosamente raggiunto sarà solo suo, e lo
difenderà con i denti.
A questo pensiero Carloni si rilassa sulla imponente poltrona di pelle, che manda un
complice cigolio rispondendo al peso del proprio occupante, e stira i denti in un mezzo
sorriso, solo gli occhi muovendosi febbrili.
Non serve neanche un piano preciso, lettere anonime e simili sono solo trovate da film:
l'intrigo, e questo Carloni lo sa bene per esperienza, è soprattutto stare nell'ombra,
dire e non dire, supporre e lasciare che gli altri traggano le conclusioni e divulghino il
tutto. Basta poco, una mezza frase qua, una battuta là, e le voci arriveranno a chi di
dovere
ora il sorriso del vicedirettore è più ampio, ne partecipano anche gli
occhi.
"Ecco sistemato anche questo, alla faccia di chi mi vuole fare le scarpe" pensa,
soddisfatto.
Qualche piano più su il cav. De Ritis, amministratore delegato, e di fatto
plenipotenziario della ditta, prima di uscire dall'ufficio dice in fretta al suo
assistente: "Quasi dimenticavo, c'è quel Carloni che ultimamente cerca di
ritagliarsi un po' troppo spazio: è ambizioso e mi sa di losco. Può darmi fastidio.
Trovi il modo per levarmelo di torno".
Gloria
Alta e tetra sta la vecchia basilica; le più inaccessibili guglie si perdono, confuse nel
loro imponente gioco gotico, nel buio. Pochi frettolosi viandanti si affrettano a tornare
a casa, percorrendo a rapidi passi il selciato, stretto in una sottile patina di ghiaccio.
Figure di santi, dottori della Chiesa, e benefattori in genere stanno torve sulla
facciata; con la loro morigerata austerità, scolpita eternamente nella pietra, osservano
il mondo, alte ed immobili.
Il pesante portone finemente intarsiato sembra avere un sussulto, uno scossone, che
provoca anche la caduta di piccoli cumuli di neve dall'intelaiatura; dopo un'ulteriore
botta si apre, e la soffusa luce dell'interno crea un bellissimo effetto tingendo il
nevischio del sagrato di un tenue arancione.
Dal portone esce una figura allampanata che stringe un pacco di fogli sotto il braccio,
inseguita a stento da un piccolo uomo pingue, che gli sta dietro a fatica.
"Signor Seretti, ce la farà a venire domenica? Ci sarà anche il Vescovo, lei
capisce
" dice trafelato il vecchio parroco, già ansante per la lieve corsetta.
"Don Pietro, le ho già detto che farò il possibile, anche se non credo che
guardi, vede, ho da lavorare su queste parti
"
Chi ha risposto è Andrea Seretti, di professione edicolante, che suona l'organo della
chiesa nelle funzioni principali e, all'occorrenza, dirige anche il piccolo coro dei
bambini del catechismo.
Cammina spedito attraverso la piazza, incurante del trotterellare affannato di Don Pietro;
la sua unica preoccupazione sembra essere l'incolumità del fascio di carte che porta con
sé: cerca di ripararlo sotto il cappotto, come se contenesse documenti di chissà quale
importanza.
Raggiunto dal prete, si volta con impazienza: "Allora padre, cos'altro c'è? Le ho
già detto che farò il possibile, ma devo incontrarmi con quella persona da Roma
sì per le partiture che sto scrivendo
"
(La chiesa, illuminata a giorno, non è mai stata così bella. Le panche sono stracolme, i
bambini del coro, impettiti e sicuri, stanno ordinatamente disposti su tre file. Il
vescovo, dal suo scranno d'onore, contempla benevolo la scena).
"Ma vede, ci sarà il Vescovo, è una personalità influente, la noterà di
sicuro
i bambini hanno fatto tutte le prove con lei, da soli si sentiranno
spaesati
"
"Parla, parla" pensa stizzito Seretti, "se Dio vuole tra un mese sarò
lontano da questo buco di paese, sarò a Roma, a suonare sul serio
"
Ed intanto cerca di ammansire l'intirizzito reverendo: "Ma si capisce che ci
tengo
un onore simile
il Vescovo
".
(Ad un certo momento le note gravi dell'organo esplodono dal coro, e le voci dei bambini,
pure e candide, rimbalzano, appena costrette dalla sacralità del latino, per le ampie
volte della basilica, fresche ed argentine. Immediatamente il pubblico, reprimendo un moto
di stupore, si volta in direzione di quel suono, e qualche mamma addirittura si commuove.
Il vescovo, colto di sorpresa, sobbalza, tornando subito a sorridere, quasi divertito).
Adesso Andrea Seretti cammina spedito verso casa, maledicendo in cuor suo Don Pietro, per
avergli fatto perdere tanto tempo.
Da domani basta servilismi, basta finta devozione, basta Te deum confitemur; ha già in
testa una musica nuova, selvaggia, bellissima, che gli darà la fama.
(L'intensità della musica sale lentamente, avvolgendosi su se stessa come una spirale:
ormai tutta la chiesa ne è piena e sembra riceverne nuova vita. L'organista muove le mani
veloci sulla tastiera, dirigendo il coro con lievi cenni della testa, come se non ce ne
fosse bisogno; le sue dita macinano note, armonie e contrappunti con impeccabile
precisione. Il vescovo si sporge per porre una domanda a Don Pietro. I due confabulano un
po', dopodiché il vescovo si rilassa nuovamente, senza smettere di sorridere).
Ed eccolo, il Seretti, chino sul pianoforte, alla sola luce di una lampadina, che traccia
segni sul pentagramma, sempre più perso nei propri sogni: soldi, lusso, donne, fama.
Tutto pioverà su di lui, ne è certo, quando qualcuno che conta avrà sentito la sua
musica.
La gloria lo attende.
(Il vescovo pensa: "Però, bravo questo ragazzo che suona
con tutto che il
vecchio maestro Strazzi è morto la settimana scorsa, quasi quasi ci parlo
certo per
suonare nella cattedrale deve affinarsi un po', ma si vede che ci sa fare
"
continuando a sorridere chiede a Don Pietro se si chiama proprio Andrea Seretti.
"Seretti, me lo devo ricordare", pensa ancora, senza smettere di sorridere).
Seretti trascorrerà la famosa domenica in casa, lavorando svogliatamente sui suoi accordi
ribelli, con l'orecchio teso ad aspettare il suono del campanello della porta.
Ma nessun potente arriverà da Roma in paese cercando Andrea Seretti; una telefonata lo
avviserà che il suo appuntamento con la gloria, a causa di una riunione, è slittato a
data da destinarsi.
Amore, Potere, Gloria, e quant'altre sono le chimere che ognuno di noi
rincorre senza sosta per tutta la vita? Troppe, nessuno le sa enumerare con precisione,
forse perché ce ne figuriamo talmente tante che il loro numero è infinito.
Intorno a noi è il mondo, e tutto ciò che esso ci offre, e tutto ciò che di esso ci è
dato avere; ma noi, insaziabili bambini viziati, non ne abbiamo abbastanza, e corriamo,
corriamo affannati dietro a mille vane immagini, mille illusioni, senza mai raggiungerle.
Le inseguiamo senza posa, loro così effimere ed eteree da sembrarci tanto indispensabili.
Stiamo ancora correndo, e già diventiamo polvere.