Padre Afius
procedeva con passo spedito lungo il tetro sentiero, la nebbia umida aveva impregnato i
suoi indumenti ed il gelo della notte lo faceva rabbrividire. Avvolto nel suo mantello era
un'ombra che scivolava via senza lasciare segno del suo passaggio. Dense nubi
temporalesche s'erano raccolte nel cielo, cupe, non lasciavano trasparire l'amichevole
luce delle stelle. Anche se era un uomo di chiesa non aveva mai amato i cimiteri, forse un
poco dell'antica superstizione della sua infanzia se l'era portata dietro.
Giunse ad un bivio e si incamminò a destra. Gli alti cipressi apparivano spettri nelle
tenebre, i rami contorti, come arti spezzati da spasimi di dolore, s'intrecciavano sulla
sua testa. I rumori della notte giungevano sinistri al frate, più di una volta
sobbalzando era rimasto col fiato sospeso, cercando di captare segnali di pericolo.
Nascosti dal fitto fogliame i rapaci notturni lanciavano i loro striduli richiami, cupe
minacce contro chi invadeva il loro territorio. Il terrore lo trafiggeva con mille dardi
di ghiaccio, sgretolando la sua forza d'animo. Il soffio del vento tra le fronde
sussurrava il suo nome, una voce remota che gli ricordava quanto fosse effimera la sua
esistenza. Sapeva che quel luogo era ostile a chi era ancora in vita, percepiva il male
che le lapidi maledette trasudavano. Sul selciato i suoi passi si confondevano con i
battiti frenetici del cuore, un brivido dietro la nuca gli fece accapponare la pelle, non
ebbe il coraggio di voltarsi, qualcosa o qualcuno aveva attraversato la sua strada.
Silenziosamente cominciò a pregare, sperando di trovare conforto, ogni parte cosciente
del suo corpo gli intimava di tornare indietro, solo la sua forza di volontà e la
consapevolezza dell'importanza della sua missione gli diedero la forza di continuare.
Giunse alla cripta che conduceva all'ossario, il piccolo cancello che ne precludeva
l'accesso, era scardinato. Cercando di fare meno rumore possibile si accinse a scendere le
scale che portavano nella stanza sotterranea. Fortunatamente aveva pensato a portar con
sè il moccolo di una candela, con mano tremante accese lo stoppino, diffondendo un
leggero bagliore intorno a sè.
Il puzzo di umido lo colpì violentemente alle narici, si fece forza e proseguì. Arrivato
alla sala, la trovò vuota. Questa era l'ultima cosa che si aspettava, non poteva essere
che si fosse sbagliato, aveva raccolto abbastanza indizi per ritenere giuste le sue
conclusioni. Da molti anni lavorava per la Santa Inquisizione ed aveva giudicato molti
casi di eresia e di stregoneria, quanta gente aveva visto torturare e quanti morire
avvolti dalle fiamme purificatrici. Aveva accettato tutto questo perché sapeva che era
l'unico modo per ricondurre le anime rubate dal maligno al Padre Eterno. Anche questa
volta avrebbe fatto lo stesso e se le sue supposizioni fossero state esatte, non avrebbe
avuto luogo nemmeno il processo, i colpevoli sarebbero stati condannati direttamente al
rogo.
Si guardò intorno smarrito, fu attratto da un mormorio sommesso che giungeva da una
parete. Si soffermò in ascolto, sembrava un canto liturgico o qualcosa del genere, le
speranze gli tornarono. Individuò una porticina che si apriva in fondo alla stanza, si
avvicinò prudentemente ed aprì. Dal piccolo spiraglio vide un cerchio formato da donne
seminude, le mani rivolte al cielo, ondeggiavano lentamente, come fossero ipnotizzate.
Padre Afius cercò di veder meglio l'interno della stanza segreta. Aprì di più la porta
e mise dentro la testa. Restò gelato dallo spettacolo che si parò davanti ai suoi occhi.
Al centro del gruppo di donne c'era una giovane completamente nuda, inginocchiata davanti
ad un piccolo altare in legno. Tra le mani reggeva un lungo coltello, sull'altare giaceva
il corpicino indifeso di un neonato. Pietrificato dall'orrore il sacerdote non ebbe la
prontezza di spirito di intervenire, la donna inginocchiata sollevò sulla testa la lama e
con spietata ferocia trafisse il petto del fanciullo. Il sangue sprizzò in alto e sul
viso delle donne, che cominciarono a gridare in preda ad una esaltazione animalesca.
L'assassina lasciò cadere il coltello, sollevò il corpo della vittima e dopo aver
mormorato oscure parole cominciò a divorarlo. Lo spettacolo eccitò tutte le altre, che
come animali si gettarono sul corpo, facendolo a pezzi e disputandone i brani. Padre Afius
non ebbe più alcun dubbio, erano streghe, avevano scelto di servire Satana, a lui toccava
il compito di annientare il male. Gridando pazzo di furore spalancò la porta, reggendo
tra le mani il crocefisso. Le assatanate si voltarono di scatto, le labbra tirate in
ghigni famelici, il sangue che colava misto alla loro bava. Alla vista del simbolo sacro
urlarono scosse dall'odio verso quell'uomo che aveva osato interrompere il loro rito
satanico. Lentamente cominciarono a muoversi per accerchiarlo, padre Afius fu più veloce,
dal mantello estrasse una boccetta contenete dell'acqua benedetta e la lanciò verso di
loro. Ci fu un'esplosione, l'acqua a contatto con i corpi delle streghe parve incendiarsi,
marchiando a fuoco la loro pelle. Si voltò di scatto e cominciò a correre, aveva portato
a termine il suo compito. Sapeva che sarebbe stato inseguito, l'unica sua speranza di
salvezza era raggiungere l'abbazia, nessuno con il marchio di Satana poteva entrare tra
quelle mura benedette.
Uscì dalla cappella, il freddo della notte portò lucidità nella sua mente devastata
dall'orrendo spettacolo, tagliò attraverso il terreno disseminato di lapidi diroccate,
nella speranza di far perdere le sue tracce. Sentì alle sue spalle un urlo inumano,
continuò a correre senza voltarsi, tutto intorno apparvero i fuochi fatui, fiammelle
azzurre danzavano ovunque. Sapeva cosa significavano, erano il respiro dei morti che
ritornavano in vita. Sentì il terreno tremare sotto i suoi piedi, una mano putrefatta
sbucò dal sottosuolo afferrando la sua caviglia. Padre Afius cadde lungo disteso, mentre
un corpo mummificato spaccava la terra riemergendo dalla tomba. Con un calcio si liberò
dalla stretta, si rimise in piedi e ricominciò la sua corsa. Tra le ombre vedeva dei
movimenti, un esercito di morti era stato richiamato in vita dal male. Il sudore cominciò
a bagnargli la camicia, sentiva il cuore martellargli nel petto. Qualcosa afferrò il suo
mantello, sentì un lamento dietro di sè, una mano gli si posò sulla spalla. Si voltò
di scatto e sferrò un pugno alla nera figura che lo tratteneva, sentì la mano affondare
nella carne flaccida e putrescente, riuscì a liberarsi e a continuare la fuga.
Raggiunse il cancello del cimitero, sentiva ancora i tetri lamenti di quelle anime
condannate tra la vita e la morte, ma non aveva più paura, loro non potevano lasciare il
luogo della sepoltura, finalmente era salvo. Scese a rotta di collo lo stretto sentiero
che portava all'abbazia, senza fermarsi giunse davanti al portone e cominciò a bussare
con insistenza. Gli venne ad aprire un frate anziano, rimase sbigottito nel vedere l'uomo
che gli stava davanti, tutto sporco di terra, sudato e bianco come uno straccio.
- Presto chiudete le porte, sono inseguito, devo parlare subito con l'abate -.
La voce di padre Afius rotta dall'affanno era roca, il frate che gli aveva aperto lo
guardò con aria interrogativa.
- Chi ti insegue? L'ora è tarda, l'abate sta dormendo, potrai incontrarlo domani, qui sei
al sicuro. Lascia che ti conduca ad una cella, dove potrai lavarti e riposare -.
Padre Afius lo guardò furioso.
- Non capisci che ne va della vita di tutti noi? Non posso aspettare domani, bisogna agire
subito, sveglia l'abate devo assolutamente parlargli ora -.
Il frate anziano fu intimorito dall'aggressività del confratello, temendo un attacco
d'ira ben peggiore lo condusse alla stanza dell'abate.
- Aspetta fuori mentre sveglio l'abate, gli dirò che vuoi parlargli e che è urgente,
deciderà lui se ascoltarti o meno -.
Così dicendo il frate senza bussare, entrò nella stanza, lasciando solo padre Afius.
L'attesa non fu lunga, il frate uscì richiudendo alle sue spalle la porta.
- L'abate ha deciso che ti ascolterà, si sta vestendo, appena sarai chiamato potrai
entrare -.
Padre Afius fece un cenno d'assenso con il capo, mentre il vecchio si allontanava. Dopo
pochi minuti si sentì chiamare, con deferenza aprì la porta ed entrò. L'abate era un
uomo anziano, la lunga barba bianca gli incorniciava il viso, era seduto su una sedia
drappeggiata di velluto rosso, con le mani poggiate sui braccioli. Appena lo vide si alzò
e gli andò incontro, abbracciandolo calorosamente.
- Afius amico mio, cosa hai scoperto? Da quello che ho sentito devi aver raggiunto il tuo
scopo, posso cominciare a considerare il nostro paese libero dall'influenza del maligno?
-.
Padre Afius si sedette su una poltrona uguale a quella dell'abate senza aspettare il
permesso. Era troppo stanco ed agitato per attenersi ai formalismi. Prima di rispondere
fece un profondo sospiro.
- Quello che ho visto stanotte non lo dimenticherò per tutta la vita, il paese è
infettato dall'influenza di Satana, dobbiamo procedere agli arresti, solo così riusciremo
ad arginare il male che si aggira per queste terre -.
L'abate lo guardò incuriosito.
- Ci vorrà del tempo per interrogare tutti, sarà una strada lunga da percorrere, prima
di procedere, credo sia meglio cercare dei segni chiari, per andare sul sicuro -.
Padre Afius sorrise.
- Non ci sarà bisogno, i peccatori portano il segno marchiato sul corpo, io stesso li ho
segnati con l'acqua benedetta, il marchio di Satana e ben visibile sulla loro pelle. Non
possiamo tergiversare, bisogna agire in fretta per evitare che ci possano sfuggire -.
Una strana luce brillò negli occhi dell'abate, si sfregò le mani lentamente.
- Ho capito
- disse avvicinandosi a padre Afius.
- Così tu sai per certo chi sono i colpevoli, non sarà difficile allora assicurarli al
braccio secolare. Domani mattina, di buon ora, procederemo accompagnati dalle guardie a
controllare ogni persona che si trova al villaggio. Chiunque sarà trovato con i segni che
tu dici, sarà condannato al rogo. Ora ti prego vai a riposare, ci attende una giornata
faticosa, lascia che le nostre sorelle si occupino di te -.
Padre Afius rimase stupito, non sapeva che nell'abbazia ci fossero delle monache, stava
cercando di declinare l'offerta, quando l'abate fece tintinnare un piccolo campanello
d'ottone. Tre monache entrarono nella stanza, completamente avvolte nel loro manto, padre
Afius si mise in piedi, si volse per salutare le consorelle ma un grido gli morì in gola.
Le mani delle tre donne erano coperte da profonde scottature, erano state segnate dal
fuoco, sulla pelle portavano il marchio di Satana. Capì di essere caduto in trappola,
cercò di scappare, ma mani salde lo afferrarono per le spalle. Un'altra porta celata da
una tenda si aprì, da questa uscirono altre cinque figure femminili, avvolte nel velo
monastico, come le altre erano segnate con il fuoco. Gridando, pazzo di furore, padre
Afius cercò di lanciarsi sull'abate, ma fu trattenuto e costretto ad inginocchiarsi.
- Maledetto, che tu sia mille volte maledetto - gridò contro l'abate. Hai venduto la tua
anima al diavolo ed hai condotto con te all'inferno la povera gente di questo luogo, io ti
maledico, perirai nel fuoco eterno -.
L'abate proruppe in una fragorosa risata.
- Credi davvero che io abbia venduto la mia anima a Satana? Sei un ingenuo mio caro amico,
non hai capito nulla, eppure credevo che tu fossi più perspicace, ma mi sbagliavo. Io non
ho venduto l'anima a Satana, io sono Satana -.
La risata del diavolo rimbombò sulla nuda pietra delle pareti, padre Afius si dimenò
ormai pazzo di paura, una fitta lancinante gli bloccò il collo, un rivolo di sangue gli
bagnò il mantello, le streghe avevano cominciato il loro banchetto. Ancora cosciente
capì che per lui era finita, l'ultima cosa che colpì i suoi sensi, prima di cadere
nell'oblio della morte, fu la puzza di zolfo che si diffondeva tutto intorno.