Mi capitava
in quel periodo di vagare nei bassifondi della città di Boston ammirando le visioni
deformate delle vetrate di una finestra o i riflessi bizzari della luce lunare sul
selciato.
Una notte particolarmente triste mi misi sulle tracce di una mia vecchia conoscenza che
sapevo trovarsi da qualche parte nel sottobosco urbano.
Si trattava del pittore Richard Upton Pickman, ritiratosi in solitudine alcuni mesi prima.
Aveva privato della sua presenza e del suo genio il Circolo dell'Arte cittadino ed i suoi
amici così pensai che sarebbe stato bello portare sue notizie ai comuni mortali, sempre
che l'avessi trovato.
Mi aggiravo ormai da un'ora buona per gli angusti passaggi di uno dei più bui isolati con
la mia fervida immaginazione di disegnatore al galoppo, tesa a distorcere in modo
inquietante le tormentate figure che si trascinavano nell'ombra.
Mi sorprendevo a pensare alle cupe rappresentazioni di Pickman: opere la cui forza
evocativa innalzava l'autore a mente superiore.
Egli era un uomo la cui volontà ricordava qualcosa di ultraterreno; per questo mi
domandavo se quelle sagome maledette erano solo barboni affamati troppo stanchi per
attaccarmi o tutte possibili "forme" di Pickman...
Non mi aspettavo certo di trovare l'indicazione per il suo studio su qualche soglia ma ero
alla ricerca di un qualsiasi indizio che avesse potuto anche vagamnte indirizzarmi verso
il rifugio dell'artista.
E non tardò ad arrivare.
Scorsi contro una sudicia parete una coperta di quelle che si usano per coprire i
bozzetti, un cavalletto sfasciato ed una coppia di minuscoli strumenti usati per raschiare
le tele.
La porta lì vicino era chiusa dall'interno ma nella penombra trovai una finestrella che
dava su un sotterraneo.
Ruppi il vetro e con molta difficoltai mi calai nel locale scarsamente illuminato.
Era chiaramente un magazzino: intorno a me erano gettate alla rinfusa almeno venti tele
del genio... lavori che non avevo mai visto ma che ritraevano il suo soggetto abituale.
Mostravano creature deformi oltre ogni immaginazione sana che digrignavano i denti e
fissavano con odio oltre la tela.
Una semplice lampada ad olio gettava il suo bagliore spettrale su quel dimenticato
esercito di orrori sotterranei.
Se solo avessi avuto io il dono di rendere tanta malignità con la mia arte!
Una porticina che non avevo notato scricchiolò aprendosi e mi trovai
davanti l'uomo che stavo cercando.
Alto e sbilenco, con i capelli brizzolati mi osservava tetro ed il monocolo gli conferiva
un aspetto arcigno come non mai.
Era un vecchio visionario avvolto in una vestaglia grigia di fattura evidentemente
anglosassone.
"Ti ho sentito arrivare. Perchè mi hai voluto raggiungere qui?" sospirò.
Risposi spiegando che i colleghi del circolo avrebbero gradito avere più notizie riguardo
alla sua ultima produzione.
"Eccola mia ultima produzione" disse illuminando quattro tele più piccole che
prima erano rimaste nell'oscurità.
Quei quadri erano stati bruciati, tutto ciò che era possibile distinguere era una grossa
chiazza nera nel centro.
Pickman mi spiegò che li aveva incendiati lui stesso dopo averli ultimati.
Dipingeva in stato di trance ed i risultati erano talmente inquietanti che lui stesso
doveva distruggerli.
"Nella fase del sonno vedo cose che appartengono solo al mondo dei sogni...".
Non mi convinse il suo modo di fare e gli chiesi cosa lo spingesse a dar fuoco alle sue
creazioni nella realtà.
"Non potrei spiegarti. Non sono io a decidere consciamente ciò che poi dovrà
prendere vita dal mio pennello... immagino che i nomi Kadath ed Ultar non ti suggeriscano
nulla..."
Guardai l'anziano con stupore. Non lo seguivo più.
Mi raccontò cose stranissine di come attraverso i sogni aveva visioni del futuro e per
dimostrazione mi mostrò un suo quadro gigantesco dal titolo "passato, presente ed
avvenire".
Quando levò il velo da quella sua bizzarra creatura sussultai.
C'erano raffigurate tre stanze.
In una prima una figura scura si aggirava per strade invase dai raggi di luna, come una
spirito errante. Riconobbi alcuni particolari della nostra malinconica città.
Nella seconda quella stessa figura si trovava in una specie di grotta a parlare con un
vecchio vestito di grigio e con una grossa lente piantata in un occhi.
Nell'ultima stanza la figura se ne stava ignara ad ammirare un affresco mentre un orrida
ed indistinta cosa stava per abbattersi su di lui alle spalle.
Guardai dietro di me.
Giulio Marchi di Mantova. Sono un appassionato lettore di Lovecraft, Bradbury, Gustav Meyer, Clive Barker e William Gibson, perciò apprezzo ambientazioni classicamente horror così come scenari cyberpunk. Le mie preferenze cinematografiche vanno invece ad autori come Carpenter, Kubrick, Cronenberg, Raimi, Kitano, Ridley Scott e ancora Barker. Ascolto, manco a dirlo, metal con una predilezione per il black. Studio Scienze della Comunicazione a Verona. Ho recitato in una compagnia teatrale sperimentale per quattro anni e suono la chitarra in un gruppo.