Nel giorno
del mio matrimonio i fiocchi di neve scendevano lenti si attaccavano al vetro dei
finestrini a specchio come lacrime si scioglievano sulla limousine nera. Nera come un
carro funebre.
Sistemata sul sedile come bambola di porcellana pensavo ad Alberto il mio Alberto ai
nostri sogni da adolescenti ingenui. Volevamo sposarci in blue jeans sui prati verdi da
soli, io lui il prete solo noi senza tutta quella gente che ti osserva senza troie che
aspettano solo di abbuffarsi al banchetto senza stronze che ti sparlano per la marca
scadente del vestito. Alberto mi avrebbe dato un mazzo di margherite ci saremmo scambiati
gli anelli con mani tremanti il prete avrebbe detto vi dichiaro marito e moglie avremmo
urlato di gioia. Castelli di sabbia, nientaltro.
Lauto si fermò. Sorriso radioso dellautista che mi invitava a scendere.
Indossai lo stesso sorriso radioso nella mia faccia. Aveva smesso di nevicare. Tra la
gente si levò un applauso. Baci e abbracci di amici e parenti. Mi aspettavo quasi di
vedere Alberto.
Entrai in chiesa. Macabra melodia dellorgano come film horror sorriso falso nel viso
della sposa sorrisi altrettanto falsi nei volti degli invitati. Camminai solenne verso
laltare verso la morte dei sensi nellodore dincenso lasciando alle
spalle scie di seta bianca. Vicino allaltare mi aspettava Michele, tutto emozionato.
Mi porse goffamente il bouquet di rose bianche. Il paesaggio bianco il vestito bianco i
fiori bianchi tutto era bianco nel giorno del mio matrimonio. Ci inginocchiammo davanti
allaltare.
Il sacerdote si schiarì la voce aprì un libro rilegato in bianco. Siamo quì
riuniti per celebrare lunione in matrimonio tra Michele e Alissa
Le
lacrime scivolavano veloci sulle mie guance. Un chierichetto si avvicinò con passo
incerto per deporre il cuscino sullaltare. Le fedine doro brillavano sulla
seta bianca. Le mani di Michele infilarono lanello al mio dito. Le mie mani
comandate dalla mente ma non dal cuore fecero altrettanto con il suo. I miei nervi non
avrebbero retto ancora a lungo. Michele, vuoi prendere Alissa come tua sposa, amarla
e onorarla per il resto dei tuoi giorni? Michele balbettò un Sì, lo
voglio Il prete si sistemò gli occhiali sul naso E tu, Alissa, vuoi prendere
Michele come tuo sposo, amarlo e onorarlo per il resto dei tuoi giorni?
La bambola di porcellana dal volto bagnato di lacrime chiuse gli occhi. Rivide Alberto,
nel letto dospedale che le giurava amore eterno. Risentì le mani di lui che
stringevano quelle di lei per lultima volta come per aggrapparsi alla vita. Lo
rivide morire. Lavrebbe amata per tutta la vita e oltre.
E oltre.
Strappai via il velo. Corsi via lasciando tutti a bocca aperta. Non avrei mai dimenticato
Alberto era ora di smetterla di prendersi in giro. Passi affrettati di gente che aveva
indossato la maschera della preoccupazione Alissa! Perché sei fuggita? Michele è
in lacrime! Vuoi farlo morire di crepacuore?
Ricominciai a correre allontanandomi in fretta da quellondata che minacciava di
inghiottirmi. Grossi fiocchi di neve continuavano a scendere impigliandosi tra i capelli,
sciogliendosi sulla pelle. Inciampai e caddi facendo sprofondare il bouquet nel bianco. Mi
rialzai feci qualche passo con le gambe indolenzite dal freddo. Sfilai le scarpe che
rallentavano la mia corsa, le scagliai lontano, ripresi il bouquet e ricominciai la mia
fuga verso il nulla. Cosa stavo cercando di fare? Non avrei potuto sfuggire per sempre
dalla mia vita
La stanchezza mi fece rallentare. Ad ogni respiro affannoso
laria gelida mi violentava i polmoni. Come un fantasma delle nevi correvo scalza, le
rose bianche tra le mani arrossate. Svoltai langolo. Vidi lingresso del
cimitero, quel cancello che conoscevo così bene dopo la morte di Alberto. I suoi cardini
rovinati dalla ruggine e dal tempo cedettero e mi lasciarono entrare. Percorsi il sentiero
che attraversava le lapidi vedendomi sfilare davanti centinaia di foto dei defunti.
Giunsi alla tomba di Alberto. Mi inginocchiai. Neve fredda sulle ginocchia. Tolsi i fiori
rinsecchiti dal vaso e vi misi lelegante trionfo di rose bianche. Alberto mi
sorrideva dalla foto. Un dolore così acuto che non riuscii neanche a piangere. Sentii la
sua presenza.
Alberto. Era. Con me.
Mi guardai intorno. Vidi soltanto neve.
Alberto non mi lasciare torna indietro.
Mi stava ascoltando.
Ti avevo promesso che avrei continuato a vivere anche senza di te, che mi sarei
sposata
non ho mantenuto la promessa, non riesco. Torna indietro
La neve si depositava lentamente sulla lapide, sul vaso, sul bouquet, sulla statuetta
della madonna. Sulla foto. Un fiocco di neve cadde proprio tra le mie mani. Chiusi il
pugno, me lo portai al cuore. Destino di merda cosa ho fatto di male non meritavamo questo
il mio Alberto mi hai strappato il mio Alberto...
Qualcosa. Nel pugno.
Aprii la mano. Una piuma bianca. Soffice come un fiocco di neve.
E così dun tratto ricordai. Parole. Parole pronunciate nel letto dospedale.
Parole che avevo rimosso credendo fossero nientaltro che il delirio di un moribondo.
io ti veglierò insieme agli altri angeli e nei momenti tristi, quando hai
limpressione che il mondo ti volti le spalle, alza gli occhi al cielo: io ti sarò
vicino e per darti un segno strapperò una piuma dalle mie ali e la lascerò cadere tra le
tue mani
Presi la piuma, la portai al viso. Inspirai. Nellaria ghiacciata riconobbi il
profumo di Alberto.
Lasciai che le mie membra gelide cadessero nella neve. Alberto. Era. Con me.
Il suo nome vibrò nellaria come cristallo di ghiaccio.
Alberto Alberto Alberto...
Lo strinsi forte più forte che potevo mi lasciai travolgere dal suo profumo sprofondai nella sua felpa. Non lo avrei più lasciato andare via. Giocando con una ciocca dei suoi capelli gli dissi che lo amavo più di qualunque altra cosa. Mi prese la mano ghiacciata. Mi ami anche più della tua stessa vita? mi chiese. Certo, risposi ti amo più della mia stessa vita
Quando mi svegliai ero di nuovo sola in compagnia delle lapidi
innevate.
In tutti quegli anni mi ero presa in giro la nuova vita il lavoro il matrimonio Michele
nientaltro che prese per il culo non me ne fregava niente. Il dolore avrebbe
continuato a rodermi lanima.
Per. Sempre.
Piansi e sentii il martellare alle tempie la febbre il freddo il malessere fisico o forse
non li sentii nemmeno perché nulla erano in confronto al dolore dellanima.
Usai le mie ultime forze per trascinarmi fuori dal cimitero sulle strade bianche tutto
quel bianco che male mi faceva. Andai nel mio palazzo. Imboccai le scale e salii
trascinandomi come unubriaca scalino dopo scalino. La vista si annebbiò ma dovevo
salire non potevo rischiare di restare svenuta lì. Qualcuno mi avrebbe trovata e sarei
stata costretta a tornare nel mio mondo nella mia sofferenza nella mia vita di merda che
aveva deciso di prendermi per il culo. Continuai a salire aggrappata alla ringhiera.
Arrivai allultimo piano.
Con un ultimo sforzo salii per una piccola scala a chiocciola di ferro e passai attraverso
una botola. Mi accolse un pezzo di cielo stellato. Era già notte dunque? Il tempo era
ormai distorto.
Mi issai sul tetto.
Vita di merda voglio vedere se riesci a separarci di nuovo dopo la morte non puoi farci
più niente non puoi più prenderci per il culo saremo unanima sola e rideremo di
te.
Toccai coi piedi scalzi la grande distesa di cemento, ruvida, piatta, senza colore che
formava il tetto. Camminai verso lorlo delledificio con la stessa solennità
della camminata verso laltare, ogni passo scandito da un rapido martellare alle mie
tempie. Come vergine bianca contro il cielo nero. Come fanciulla sacrificata agli dei.
Nessuna ringhiera faceva da impedimento tra me e la morte. Laria fresca, immobile,
senza un solo soffio di vento. Le macchine sfrecciavano sulla strada e qualcuno camminava
tranquillo sui marciapiedi, soffermandosi ogni tanto, ignaro di essere osservato. Tutto
così piccolo, distante.
La luna sembrava incoraggiarmi. Stai facendo la cosa giusta mi diceva.
Ricordavo gli occhi di Alberto, neri e profondi almeno quanto il cielo di quella notte.
Avrei dato tutto per riavere le sue mani tra le mie solo per un attimo.
Rivolsi un ultimo, disperato sguardo alla luna, le guance ardenti di febbre.
Fu allora che vidi qualcosa svolazzare nellaria qualcosa che ruppe la sua innaturale
immobilità.
Una piuma bianca.
Non tesi la mano per afferrarla, lasciai che cadesse verso il basso, verso le macchine, la
gente, il mondo, lenta, dellaria ferma. Avrei raggiunto Alberto prima che quella
piuma avesse toccato il suolo.
Trattenni il respiro e mi lanciai nel vuoto.
La piuma continuò a svolazzare lentamente verso il basso finchè, proprio quando stava
per sfiorare il suolo, un soffio di vento la riportò in alto a vagare nellaria.
Unaltra piuma sembrò spuntare dal nulla. Insieme ondeggiarono verso lalto,
contrastando il nero del cielo con le loro piccole sagome indefinite, lasciandosi cullare
dal vento e fluttuando, luna accanto allaltra, verso la luna.