Un difficile rapporto

Nell’amore ho cercato il sonno dell’oblio,
ma l’amore un giaciglio d’aghi m’è soltanto,
fatto per dar da bere a queste femmine crudeli!
(Charles Baudelaire)

 

Robert aveva afferrato la sua preda. La teneva stretta con la forza delle sue poderose braccia.
Cercare di divincolarsi era completamente inutile, non c’era verso di liberarsi dalla presa di due braccia di ghisa; quegli arti sarebbero stati in grado di immobilizzare anche un toro inferocito.
Questa volta la preda era davvero qualcosa di prezioso, una bellezza faraonica, un monumentale esempio di perfezione corporea, la personificazione dei desideri peccaminosi di un uomo arrapato.
E Robert se ne era accorto: eh sì, la caccia era andata davvero bene.
Già mentalmente fantasticava sul turbine di sensazioni che avrebbe travolto i suoi sensi; sentiva di poter raggiungere finalmente il piacere nella sua forma suprema, un piacere di una intensità così folgorante da farlo giungere con un sol colpo sul green livellato del suo Eden immaginario.
Stava così accarezzando il suo sogno proibito, gli era apparentemente vicinissimo… l’orgasmo definitivo… lo sentiva, ne era convinto… la preda era così bella… non c’erano dubbi.
Ed era stata colpa della cruda realtà dei fatti se il nostro tenero amico era diventato uno stupratore. Con quale illusoria speranza poteva pensare di veder realizzato il suo sogno perverso? Con quale utopistica presunzione poteva pensare di raggiungerlo rispettando le regole? Nessuna.
Povero Robert, sicuramente prodigandosi in un pressing asfissiante nei confronti di tutte le creature femminili della città sarebbe riuscito a rimediare qualche specie di elettrodomestico dal respiro affannoso, ma egli era alla ricerca di una venere in carne ed ossa e non sarebbe riuscito a sedurla ricorrendo al suo fascino.
Purtroppo il suo aspetto fisico era un handicap che lo penalizzava terribilmente, lo rendeva materiale di seconda scelta, uno scarto di magazzino, un fottutissimo freak.
Bastava guardarlo un attimo. La sua paleontologica acconciatura la diceva lunga sull’attenzione e sull’importanza che riservava per il suo aspetto esteriore: una distesa incerta e irregolare di ciocche ondulanti che prendevano le direzioni più disparate e casuali, pilotate unicamente dalla fantasia passiva e artigianale del cuscino del suo letto.
Probabilmente Robert considerava uno specchio alla stregua di una spazzola per la pulizia del water e ne centellinava l’utilizzo limitandolo ai non quotidiani momenti di rasatura e a qualche minuto passato sull’ascensore del suo condominio.
Non aveva una ragazza Robert, e del resto mai aveva desiderato di vivere la sua vita al fianco di una donna: era un tipo di situazione che non trovava spazio nei suoi progetti.
Nessun aspetto della personalità femminile poteva scuotere la rigidità radicata del suo ego insensibile; non c’era un prototipo di donna in grado di suscitare in lui dei sentimenti diversi da quelli legati al puro desiderio di scopare.
L’epilogo della sua ultima relazione bastava a dare un’idea molto precisa sul cinismo spietato che caratterizzava i suoi rapporti con l’altro sesso.
La sua donna lo aveva scaricato con tutta la correttezza ed il tatto che una situazione di quel genere richiede.
Aveva esposto le proprie motivazioni attraverso una scelta di parole oculata e saggia, riuscendo a rendere la notizia più dolce ed ovattata, per quanto fosse possibile neutralizzarne la natura violenta e gli effetti traumatici che ne sarebbero derivati.
La reazione di Robert fu sconcertante nella sua schiettezza acida:
- Non puoi lasciarmi così! Sei l’unico punto di riferimento del mio uccello! -
Fu questo l’epitaffio scolpito sulla pietra tombale di quella storia morta e sepolta.
Negli anni successivi Robert si era dedicato con estrema determinazione al perseguimento del suo progetto mentale perverso.
Aveva stuprato ed ucciso molte ragazze, ma l’insoddisfazione era stato il solo risultato di tutta l’energia che aveva messo in gioco.
Ed ora era lì, concentrato come un gatto che gioca con il suo sventurato topolino di turno.
La preda continuava a urlare e a dimenarsi istericamente, ma nulla poteva contro la forza ultraterrena delle braccia di Robert. In breve lui la penetrò ed iniziò a lavorare di bacino ignorando le urla strazianti ed i singhiozzi sempre più intensi ed angoscianti.
Ma proprio nel momento in cui l’evolversi dei fatti sembrava aver preso la direzione che egli aveva immaginato, accadde l’imprevisto.
Fu un vero fulmine a ciel sereno, quel lasso esiziale che squarciò rovinosamente il quadro della situazione: un momento prima dell’orgasmo Robert tirò fuori il pene dal corpo di lei ed un attimo dopo se lo vide tranciare di netto da un colpo di rasoio sferrato da una figura che in quel momento era impossibile e superfluo distinguere, tanta era la foschia che improvvisamente calò sull’hard-disk del suo cervello.
Sul terreno giaceva inerte il pezzo più importante del grande puzzle che era il suo corpo, e su di esso si soffermarono per un attimo gli occhi sbarrati della preda.
Per lei era la fine di un incubo senza proporzioni, ma questo incubo sarebbe stato un marchio interiore per il resto dei suoi giorni, un indesiderato compagno di viaggio che l’avrebbe seguita fedelmente negli itinerari obbligati ed imprevedibili della vita, un ricordo-rapace che avrebbe continuato a ghermirla per sempre.
Eh, sì: il ricordo sarebbe squillato periodicamente nel marsupio della sua memoria come un cellulare rompicoglioni per ricondurla a quello che in quel giorno era stata, al ruolo che il destino aveva scelto per il suo debutto sul palcoscenico di quella rappresentazione grottesca del macabro e dell’assurdo: il ruolo della PREDA!!!
E Robert? Come se la passava Robert in quel mentre?
Da quel che rimaneva del suo pene iniziarono a sgorgare fiotti di sangue e sperma che andarono a formare a terra una orrenda pozza di un colore indefinibile.
Nessuno potrà mai venire a conoscenza della sensazione che provò nel momento cruciale di quella che era la più bizzarra e ributtante delle eiaculazioni possibili, perché pochi istanti dopo un nuovo colpo di rasoio gli recise la gola e lo fece stramazzare al suolo in un lago di sangue.
Chissà, forse proprio nel momento in cui avvenivano mutilazione ed orgasmo in modo simultaneo egli avrà raggiunto quell’estasi voluttuosa che aveva sempre rincorso nel suo precedente vissuto; un misto di dolore e liberazione, di raccapriccio e beatitudine.
Ma queste sono risposte che nessuno potrà mai dare, e nemmeno la maschera di morte che il suo volto indossava in quell’ultima occasione lasciava spazio a delle considerazioni.

Morris Carnevale

Vivo a Bologna. Questa è una storia splatter-grottesca che ho scritto nel 1997 durante un viaggio in autobus. L'ho modificata in parte nel 2001.