Il diario

Paragrafo primo
15 gennaio

 

Nell’atto di redigere codeste prime parole di quest’insano diario, mi accorgo di essere pervaso da un opprimente senso di dolore che soffoca la mia persona, rendendola succube delle più disparate visioni di orrore e di morte. Le ragioni che mi spingono a compiere quest’ultimo disperato tentativo di redenzione mi sono ancora perlopiù occulte ed estranee, ma comunque indotte da una strana essenza positiva che ogni tanto sembra affacciarsi fra gli oscuri meandri del mio essere.
In questo momento la solitudine e l’indicibile terrore stanno lentamente prendendo il sopravvento sulle mie piene facoltà mentali. Prego quindi affinchè l’intelletto e la neutrale capacità analitica poste in colui che si avvarrà di questa deposizione, esaminino le mie parole con circospezione, riconoscendone le drammatiche nuances come incontrastato effetto d’un compromesso stato d’animo.
L’esile candela sotto la cui luce sto scrivendo, emana un delicato profumo che si perde assieme alla luminosità negli angoli più celati di questo studio. Da due giorni ormai la mia vita non dipende che da essa e dall’integrità dei miei pensieri nondimeno dalla robustezza della porta sitami di fronte.
Orrore! Essa rappresenta per me la sola via di fuga, come per “lei” l’unico accesso possibile.
Penso sia giusto, affinchè il lettore possa capire il malevolo turbine in cui mi trovo, narrare ciò che è accaduto appena due giorni addietro: causa che mi ha incondizionatamente relegato in questo stato di volontaria e fortunosa prigionia.
Devo innanzitutto premettere che lo studio meticoloso delle scienze umane (nel senso più ampio che si possa intendere) da me effettuato sin dalla giovinezza, ha egoisticamente rubato i migliori anni della mia esistenza, privandomi di un’infinita serie di spensieratezze e sregolatezze che sicuramente sarebbe servita a rendermi il tortuoso cammino di questa vita un po’ più morbido e molto meno pessimistico.

Solamente da una decina d’anni mi sono pericolosamente inoltrato nel più recondito abisso di queste ricerche scientifiche. Psicologia, spiritismo, occultismo ed ipnosi hanno creato in me una deplorevole amalgama di conoscenze ed esperienze proibite che meriterebbero maggior attenzione di una qualsiasi pseudo-teoria a riguardo.
I miei studi si sono intrecciati in vari preziosissimi testi quali il “De occulta philosophia”, il “Grimorium Verum” ed una strana e secondo molti dubbia-traduzione di un antico testo persiano simile all’oscuro Necronomicon. Questo strano libro in pergamena (prestatomi in passato da un amico collezionista) offre un’esauriente risposta a quanto un uomo possa mai chiedersi sulla veridicità dei fenomeni occulti. Le sue pergamene ingiallite dai secoli celano un’infinità di simboli magici ed alchemici dalla traduzione alquanto ardua.
Taluni affermano possa essere la parte mancante dell’arcaico zorhoastriano Avesta. In particolare sembra contenere i Yasht ovvero una serie di inni ricollegabili agli antichi dei della mitologia persiana. Ahriman, dio del male, viene citato varie volte tra le sfere concentriche dei simboli magici di questo testo.
Le recentissime teorie di Carl Gustav Jung e gli strani esperimenti del dottor Franz Anton Mesmer mi sono infine risultati essenziali per il completamento della mia opera occulta.
Oh, se mai avessi potuto sapere! Che Dio mi perdoni!
Ma Egli sembra avermi abbandonato in quest’ultimo frangente di esperimenti. Nemmeno la mia debole fede può ormai infondermi speranza date le mere situazioni in cui, responsabile del tutto, sono precipitato.
Forse credere in Lui è già troppo tardi. Concepito dal nostro debole intelletto per bisogno di inutili ed improbabili risposte abbiamo ignorato la possibile esistenza di un “qualcosa” di più potente e reale. Qualcosa di arcano o addirittura primordiale!
Nulla potrà mai far tornare mia moglie Elene. Questa è stata la mia punizione per aver osato risvegliare Ciò che dormiva da tempi immemori.
Lo sento! Sì, è dietro questa dannata porta. Le sue diaboliche unghie graffiano in continuazione il robusto legno che gli impedisce di entrare. E i suoi versi, quegli orribili versi infernali non sarebbero degni del più immondo fra i baratri.
- Elene, oh Elene, amore mio, ti supplico, torna in te! -. No, nulla sembra servire per far tornare in sé la mia amata. La sua anima pare essersi dispersa in qualche oscura dimensione di cui ancora il genere umano non è a conoscenza. Il mio dolore è immane. Mi domando quale uomo abbia mai avuto il coraggio di usare la propria moglie come cavia per un esperimento sì assurdo.
Unica, la mia forza vitale continua a spingermi nel deporre questi tristi istanti. Mi sentirei impazzire se non lo facessi. Queste estenuanti righe debellano la mia solitudine. E pensare che, comunque vada a finire, qualcuno le possa leggere, mi aiuta a rompere queste obliose catene che cingono la mia sventura nel modo più impietoso.
Il lettore (se mai ve ne sarà uno) mi perdoni se quanto è scritto in queste temibili pagine potrà turbare la sua serenità ma mi par giusto comunque sottolineare che nulla e ripeto, nulla di tutto ciò è frutto della mia immaginazione e tanto meno è stato scritto se non in buona fede.
Che il tutto possa servire da avvertimento per le generazioni a venire affinchè nessuno mai cimenti il proprio intelletto e l’arguzia per fini tanto innaturali. E se mai la sete di conoscenza dovesse impadronirsi sì malevolmente di un altro uomo, al mio pari, spero che questi se ne accorga prima che un nuovo orrore venga a crearsi. Un male ben peggiore di qualsiasi altro fin’ora conosciuto, concentrato ed allo stesso tempo essenza di tutto ciò che di riluttante dimora nel cosmo.

Anthony Coia