Nella penombra della stanza, il talamo del loro amore, si rigirò su un fianco, verso la figura immota della moglie, mentre due bastoncini d’incenso si consumavano lentamente, accesi a ricreare l’armonia perduta.
“Perché non parli?”, le domandò pur sapendo che non avrebbe ottenuto risposta. “Perché sei così fredda?”.
Conosceva già le motivazioni: certe ferite non si possono rimarginare. Per questo aveva le lacrime agli occhi. Né doveva, per confermare le proprie certezze, verificare quelle stesse ferite sul petto immoto della moglie, il quale mai più si sarebbe alzato in un sospiro. Perché le aveva trafitto il cuore durante una stupida discussione domestica, un diverbio degenerato in tragedia quando lui aveva afferrato un coltello da cucina e l’aveva colpita, accanendosi con una furia omicida che non immaginava di avere.
Ma che dopo era impossibile da cancellare.
Quanto avrebbe voluto chiederle perdono, prendendole una mano tra le sue per baciarla! Ma ormai questo supplice gesto sarebbe stato vano, sia perché il rigor mortis aveva irrigidito le articolazioni della moglie, rendendo impossibile il movimento, sia perché lei in ogni caso non gli avrebbe più potuto rivolgere parole di perdono.
Lo stesso profumo dell’incenso copriva a stento, ultima e sottile menzogna, l’odore di decomposizione. Ormai anche quella fiammella si stava lentamente estinguendo, così come la sua stessa vita.
Doveva essere per sempre, ricordò. Le lacrime gli rigavano le guance e cadevano sul cuscino, abbandonandolo come il dolore stesso, quando ormai gli effetti del veleno offuscavano i sentimenti, le riflessioni si facevano incoerenti e i ricordi diventavano confusi. L’ultimo pensiero riguardò il sacro vincolo che li aveva legati in una soleggiata giornata primaverile, la promessa che in altro modo voleva rinnovare in una buia notte invernale.
“Finché morte non ci separi”, bisbigliò con le sue ultime forze. “Finché morte non ci ricongiunga”.
Poi finalmente l’oscurità scese su di lui e lo avvolse nel caldo abbraccio di una sposa perduta.