Gli effetti
erano stati ben più devastanti del previsto; gli studi e gli esperimenti che avevano
visto il sacrificio di tanti atolli prima incontaminati potevano prevedere tutto, ma non
quello che io avrei visto. Per giorni i cieli avevano fatto da culla alle migliaia di
testate nucleari partite da ogni angolo del mondo; ogni cosa era ormai impregnata di
radiazioni.
Levando gli occhi in alto vidi il missile che piombava sulla mia esistenza. Laria,
ormai già satura, si appesantì ulteriormente; sembrava incapace di contenere il livello
di radioattività che si andava concentrando intorno al missile. Vibrazioni. Calcinacci
che cadevano su di me, ancor prima dellesplosione. Il cielo era plumbeo, presagio di
una tragedia senza precedenti. Uno squarcio si aprì sopra di me, rapido come una crepa
nel vetro e un frammento informe si staccò, non da un muro ma da dal tessuto stesso della
realtà, cadendo pesantemente su di me, coprendomi e proteggendo parte del mio corpo dallo
scoppio nucleare.
Lesplosione, infine.
Ero sopravvissuto, forse da solo; quel che di me era rimasto scoperto si era disintegrato
in un solo istante, ma il resto giaceva come in un limbo, immerso tra reale e irreale.
Dallo squarcio nella realtà fuoriusciva un liquido denso come melassa, che si spandeva
sulla superficie della Terra e penetrandola scivolava dalla parte opposta, ignorando tutte
le leggi fisiche note. Gocce colavano in cielo, agglutinando le nubi e latmosfera;
le vedevo scivolare nello lo spazio, arrivando fin sopra le stelle. Attraverso la crepa,
che si allargava di secondo in secondo, non scorgevo nuove dimensioni, nuovi mondi, nuove
realtà. Vedevo, invece, lirreale presenza del nulla. Mi ci sarei tuffato, ma ero
bloccato dalla lastra, che divideva il mio corpo.
Capii che stavo vivendo, da solo, la fine dellUniverso, in una lenta agonia che
sarebbe durata più del tempo.