"Ditta recupero salme", dico al pompiere che apre la porta.
Entriamo, e ci lasciamo guidare in cucina. Il cadavere penzola dal lampadario, oscillando
in modo impercettibile. I pompieri partono con la solfa dei dati personali della salma:
nome, cognome, data di nascita. Quello che ha aperto la porta dice "era solo al
mondo, non aveva parenti" e mi fissa. Si aspetta che io dica "meno male". E
poi lo dico: "meno male", così lui può annuire rasserenato.
Come sempre, il capo si siede a leggere la gazzetta, mentre a me e Pato tocca il lavoro
sporco. Ci mettiamo d'accordo: io sollevo il corpo; lui slega la cintura.
Do un'occhiata al suicida. Ha la pancia gonfia e tonda, come se avesse ingoiato un pallone
da basket. La faccia è rossa, scura; la bocca socchiusa. Lo abbraccio frontalmente e,
facendo leva sul suo sedere, lo sollevo. Succede una cosa, però. Sento il pallone da
basket sgonfiarsi contro il mio petto, e contemporaneamente un fiotto d'aria fetida esce
dalla bocca del cadavere, investendomi.
"Cazzo hai mangiato?" penso. Ma non lo dico, perché nello stesso istante gli
occhi della salma si aprono. Urlo "MA CHE CAZZO!", e lo lascio andare di colpo.
La cintura, che Pato non ha fatto in tempo a slegare, si tende nuovamente così che il
corpo, ricadendo, scarichi tutto il peso sul collo. Gli occhi del tizio mostrano il
bianco, mentre una noce viene schiacciata in qualche punto vicino la sua nuca. Delle
briciole di intonaco mi piovono sui capelli.
"Che cavolo combini?", dice Pato.
Il capo abbassa la gazzetta e mi guarda da sopra le lenti. "Tutto a posto?"
chiede.
Dico "sì, sì, tutto a posto".
"Ok, riproviamo", dice Pato.
Riabbraccio la salma e la sollevo. Dico "Oo-hissa" come un bravo boy scout:
questa volta non ci saranno sorprese.