Le mani della strega

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Restarono lì in silenzio, mentre gli inservienti del cimitero muravano la tomba.
Era la loro figlia, eppure non c’era traccia di tristezza nel loro sguardo. Nessun funerale, nessuna lacrima, neppure una preghiera.
Volevano solo che quel buco nero che si chiudeva lentamente ingoiasse tutto, e che di lei non rimanesse neppure il ricordo.

 

E’ un mostro, così mi dissero quando andammo a prenderla.
Eppure se non fosse stato per le mani, ciò che avevo davanti era solo il cadavere di una povera ragazza.
Dovevate vedere in che buco schifoso abitavano, isolati tra campi di sterpaglie e pietra spaccata. Era una famiglia numerosa, vivevano lì tutti assieme, poveri e soli.

Quelle mani erano enormi, mostruose, assolutamente sproporzionate rispetto al resto del corpo. Le dita specialmente, erano forse venti, venticinque centrimetri, rigide e curve come i ganci di un macellaio.
Il viso era livido, gli occhi neri ed infossati, la bocca aperta come un pozzo buio. Io ed il mio socio ci scambiammo una occhiata. Erano anni che lavoravamo in quella società di pompe funebri, ed eravamo in grado di distinguere una morte naturale da una che non lo era.
Erano stati loro, maledetti assassini. Chissà quale stratagemma avevano inventato. Avevano ucciso la figlia deforme, la strega, la maledizione, la causa delle loro disgrazie e della loro emarginazione.

 

Il giorno dopo dovemmo tornare in quella casa maledetta. Li avevano adagiati per terra, uno accanto all’altro. L’immagine terribile di quei corpi da allora torna sempre nei miei incubi. Erano contorti e scomposti come bambole rotte, con i colli spezzati, la lingua gonfia e gli occhi fuori dalle orbite.
Era come se delle mani gigantesche e fortissime fossero comparse dal nulla, e li avesse afferrati alla gola uccidendoli lentamente. Chiunque fosse, voleva che la famiglia tornasse unita, per sempre.

Sebastiano Natalicchio