Restarono
lì in silenzio, mentre gli inservienti del cimitero muravano la tomba.
Era la loro figlia, eppure non cera traccia di tristezza nel loro sguardo. Nessun
funerale, nessuna lacrima, neppure una preghiera.
Volevano solo che quel buco nero che si chiudeva lentamente ingoiasse tutto, e che di lei
non rimanesse neppure il ricordo.
E un mostro, così mi dissero quando andammo a prenderla.
Eppure se non fosse stato per le mani, ciò che avevo davanti era solo il cadavere di una
povera ragazza.
Dovevate vedere in che buco schifoso abitavano, isolati tra campi di sterpaglie e pietra
spaccata. Era una famiglia numerosa, vivevano lì tutti assieme, poveri e soli.
Quelle mani erano enormi, mostruose, assolutamente sproporzionate
rispetto al resto del corpo. Le dita specialmente, erano forse venti, venticinque
centrimetri, rigide e curve come i ganci di un macellaio.
Il viso era livido, gli occhi neri ed infossati, la bocca aperta come un pozzo buio. Io ed
il mio socio ci scambiammo una occhiata. Erano anni che lavoravamo in quella società di
pompe funebri, ed eravamo in grado di distinguere una morte naturale da una che non lo
era.
Erano stati loro, maledetti assassini. Chissà quale stratagemma avevano inventato.
Avevano ucciso la figlia deforme, la strega, la maledizione, la causa delle loro disgrazie
e della loro emarginazione.
Il giorno dopo dovemmo tornare in quella casa maledetta. Li avevano
adagiati per terra, uno accanto allaltro. Limmagine terribile di quei corpi da
allora torna sempre nei miei incubi. Erano contorti e scomposti come bambole rotte, con i
colli spezzati, la lingua gonfia e gli occhi fuori dalle orbite.
Era come se delle mani gigantesche e fortissime fossero comparse dal nulla, e li avesse
afferrati alla gola uccidendoli lentamente. Chiunque fosse, voleva che la famiglia
tornasse unita, per sempre.