Istinti umani

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

"Fuori è freddo, ma qui si sta bene. Un raggio di sole penetra dalla finestra ed io osservo il pulviscolo che danza nella luce. Potrei rimanere qui così per sempre. Va tutto bene, lo sento nella pelle: penombra, silenzio, caldo. Arriverà anche il sonno, dolce come sempre. Dolce come lei. Mentre dorme si muove, si rigira: cosa darei per conoscere i suoi pensieri. Il suono della sua voce è così bello, i modi gentili. Se solo riuscissi a capirla...
Sento dei passi: è lui. Avanza verso il letto, furtivamente. Si ferma - si sente osservato? - e si gira verso di me: lo fisso con occhi di ghiaccio e lui distoglie subito lo sguardo. Sento l'odore della sua inquietudine. Mi teme, anche se non lo ammetterebbe mai. Percepisco il suo sudore acre, dev'essere agitato. Si avvicina a lei, ancora persa nei sogni. La guarda e le accarezza una guancia, senza farsi sentire.

Tiene qualcosa, nell'altra mano, qualcosa di metallico che per un attimo mi acceca con un riflesso di luce. Stringo gli occhi e cerco di dormire - un coltello, ecco cos'è - ma non ci riesco, c'è troppo rumore, ora: lui le è saltato addosso e la colpisce con furia. La lama si alza e si abbassa veloce. Ancora, e ancora. Lui grugnisce, ci prova gusto. Colpisce, colpisce ancora.
Il cuscino è rosso. Tutto è rosso! Lei grida. Non l'avevo mai sentita urlare così: adesso c'è qualcosa di sgradevole nella sua voce. Suoni troppo acuti. Lui continua a colpire, sembra non volersi fermare più: volano schizzi ovunque. Oramai il letto è zuppo. Gocciola sul tappeto. Mi è venuta sete, mi alzerò. Spero ci sia ancora da bere."
Sbadigliò, si stirò inarcando la schiena e andò lentamente verso la cucina. Era un gatto fortunato: la ciotola del latte era piena.

Gabriele Mari

Sono nato a Ravenna nel 1973 e sono cresciuto cibandomi di horror, rock, giochi di ruolo e fumetti, quindi secondo le teorie psico-sociologiche dovrei essere un maniaco psicopatico con tendenze anti-sociali, ma quasi tutti quelli che mi conoscono mi definiscono "un bravo ragazzo" serio e riflessivo. Non so quale delle due definizioni sia peggio. Tento inutilmente di conciliare una filosofica flemma di fondo (in un'altra vita devo essere stato un gatto) con un'iperattività mentale al limite della schizofrenia (è più forte di me, penso sempre a dodicimila cose in una volta). Sogno di guadagnarmi da vivere scrivendo (buona questa!) e nel frattempo mi barcameno tra le parole come un saltimbanco ubriaco, passando da copywriter a redattore web, da sceneggiatore a narratore casalingo.